Il tempo è un’invenzione. Eppure, da sempre, chi si è fermato a riflettere sullo scorrere desi minuti, delle ore, dei mesi, degli anni, non ha smesso di chiedersi se il fluire delle nostre vite sia soltanto un concetto astratto. Oppure se abbia delle basi reali. Da Anassimandro a Empedocle, da Eraclito a San Tommaso e Friedrich Nietzsche, non c’è uno solo dei grandi pensatori che non si sia confrontato con questo dilemma. Da quando, poi, Albert Einstein ha aperto la strada a quello che la Fisica quantistica ci sta raccontando, ragionare su passato, presente e futuro, sulla loro compresenza, sul fatto che, in realtà, siano interconnessi in un fluire costante, e non separati da rigidi steccati, che rendono impossibile il loro ripetersi, è diventato un passatempo assai interessante.
E se il cinema si è fatto avanti subito, utilizzando le più moderne teorie per costruirci attorno film affascinanti e belli come “Interstellar” di Christopher Nolan, la letteratura non potecva di certo rimanere a guardare. Soprattutto se in circolazione ci sono scrittore come Marisha Pessl, che fin dallo splendido romanzo di debutto “Special topics in calamity phisics”, tradotto in italiano con il titolo “Teoria e pratica di ogni cosa”, ma anche nel secondo “Night film” (Notte americana), ha dimostrato di amare davvero le zone oscure della realtà. I non-luoghi narrativi che si possono riempire di ardite invenzioni della fantasia.
Il terzo romanzo di Marisha Pessl, nata a Detroit nel Michigan, ma cresciuta nel Nord Carolina e ormai trapiantata a New York con il secondo marito e i due figli, si spinge ancora un passo più in là. E forse è per questo che “Newerworld wake”, tradotto in italiano da Valentina Daniele con il titolo semplificato “Neverworld”, è stato pubblicato da Mondadori (pagg. 247, euro 18) nella collana Chrysalide. Quella dedicata, insomma, ai lettori young adult. Ovvero, i ragazzi un po’ più cresciuti. Allevati sotto il segno di successi internazionali come “Hunger games” e “Divergent”.
Ma attenzione: Marisha Pessl è una delle migliori scrittrici americane della generazione dei quarantenni. Non va, quindi, confusa con la pletora di autori che si sono lanciati come furie sul genere del romanzo distopico solo perché hanno capito che gli editori cercano con ansia di ripetere il colpaccio con sempre nuovi libri capaci di aggiornare l’impatto visionario e il fascino di “1984”, “Il mondo nuovo”, “Fahrenheit 451”. E questo “Neverworld” conferma in pieno quanto sia piena di talento letterario la narratrice quarantunenne. Non solo per la forza della storia che racconta, originale e capace di generare una tensione che tiene sempre desta l’attenzione del lettore, ma soprattutto per la capacità di costruire personaggi credibili, vivi, che si rivelano tridimensionali nella rettilinea conformazione del libro.
Sei sono i ragazzi che abitano le pagine di “Neverworld”. Un tempo, Beatrice, Jim, Martha, Whitley, Kipling e Cannon formavano una specie di famiglia. Erano amici veri, giravano sempre assieme, formavano un circolo esclusivo ammirato e invidiato da tutti gli altri studenti. Ma, come sempre accade, c’erano mille motivi per cercare di spezzare quel cerchio magico. Per esempio, agitando lo spettro del Bianconiglio, il misterioso e inafferrabile spacciatore di droga che spingeva i professori, ma anche gli stessi ragazzi, a sospettare di tutti. A guardarsi sempre alle spalle, per non essere colti di sorpresa.
Sembrava un piccolo paradiso terrestre, quell’amicizia. Fino a quando, una notte, Jim era stato ritrovato morto nel bacino d’acqua della cava abbandonata al confine con il campus. Da allora, Beatrice, che amava il suo amico con intenso trasporto, si era lasciata andare tra le braccia della depressione. E solo dopo un lungo tempo di silenzio e lontananza, all’improvviso decide di accettare l’invito di Whitley a partecipare di nuovo a un suo compleanno. Perché sa che rivedrà tutti i vecchi amici, che si riapriranno ferite mai perfettamente rimarginate. Eppure, nonostante i mugugni dei genitori, decide di uscire dal suo isolamento. E si mette in macchina per ritrovare la compagnia.
Tutto sembra possibile, quella notte. Anche accettare la morte di Jim. Anche riannodare vecchi fili che sembravano spezzati per sempre. Ma, al ritorno dalla festa, i cinque amici rientrano nella villa dove erano abituati a trascorrere lunghissime notti a raccontare segreti e sogni. Mentre stanno chiacchierando, bevendo e ridendo, bussa alla porta uno sconosciuto. Rivela di essere un Custode del tempo, della vita e della morte. Porta loro una notizia sconvolgente: pochi istanti prima, la macchina su cui viaggiavano è uscita di strada. Nell’incidente nessuno è sopravvissuto. Ma resta loro una chance, prima di avviarsi per sempre verso il mistero. Dovranno votare, raggiungere l’unanimità. Scegliere chi di loro potrà abbandonare il regno delle ombre e ritornare nella propria casa. A spendere il tempo che gli verrà regalato ancora.
Ma come si fa ad avanzare un offerta così crudele? Come si può chiedere a un ragazzo, nel periodo migliore della propria vita, di rinunciare a tutto? Di accettare l’idea che sarà un altro, al posto suo, a camminare sotto il sole, a respirare e sognare, ad amare e inventarsi ogni giorno una nuova illusione? Non si può, appunto. Infatti i cinque amici si rifiutano di votare. Ed entrano, così, nell’angosciosa situazione di una sorta di tempo sospeso. Nella condanna di restare intrappolati in una veglia che dura al massimo dodici ore. Per poi azzerare tutto e ripartire sempre dalla medesima scena: la macchina ferma sul ciglio della strada, quel senso di spaesamento che si fa ogni volta più estremo. Perché quello è il mondo dove il tormento non finisce mai. Si ripete ancora, e ancora, come quando si sale su una giostra fuori controllo.
Così, a Beatrice, Martha, Whitley, Kipling e Cannon resta una sola via d’uscita. Per poter votare, per raggiungere un’ipotetica unanimità, prima devono fare chiarezza sul loro passato. Guardare il dolore da vicino, andare a scoprire com’è morto Jim. Devono, insomma, imparare a scardinare le ore della loro veglia infinita, per lanciarsi a ritroso del tempo. Cavalcare presente e passato come fossero onde perfette per surfer esperti. Altrimenti resteranno intrappolato in un loop temporale destinato ad autogenerarsi di continuo. Perché loro, come rivela il Custode, sono diventati prigionieri di Neverworld. Una sorta di territorio di confine tra le intersezioni del tempo. Un altrove che esiste e, al tempo stesso, modifica la propria struttura in maniera imprevedibile.
Di più non si può dire, perché il libro va scoperto e gustato pagina per pagina. Marisha Pessl trascina i suoi personaggi dentro un mondo governato da regole inflessibili, crudeli, eppure dettate da una irrazionalità estrema. E conferma con una scrittura magmatica, nervosa, curata fino a sfiorare la perfezione, che si può lasciare correre la fantasia in una galoppata furiosa costruendo un romanzo avventuroso come “Neverworld”. Un gioiellino narrativo appassionante, che non risparmia domande crudeli sulla vita e la morte, sull’amicizia e l’amore. Sulla gestione, a volte dissennata, del tempo che ci viene concesso di vivere.
<Alessandro Mezzena Lona