Che le favole piacciano a Adeline Dieudonné, lo si capisce subito. Però, sia ben chiaro, non le storielle edulcorate da uno stupido buonismo. Non le parabole feroci e tenebrose dei Fratelli Grimm, per intendersi, riviste e corrette dall’american way of life dello zuccheroso Walt Disney. No, la scrittrice di Bruxelles preferisce guardare negli occhi la vita vera, pur lasciando che sia un pizzico di magia a smussarne gli angoli più acuti. Perché è proprio nell’incontro tra la brutalità dei giorni normali e il desiderio di rifugiarsi nel sogno, nel fantasticare, che ha trovato le coordinate narrative per scrivere il suo romanzo di debutto.
Non un libro come tanti, sia ben chiaro. Ma una storia che fa pensare alla forza visionaria di un Neil Gaiman, alla spietata lucidità affabulatoria del Prix Goncourt Pierre Lemaitre. Ed è per questo che “La vita vera” di Adeline Dieudonné, tradotto adesso in italiano da Margherita Belardetti per la casa editrice Solferino (pagg. 221, euro 17), non è sfuggito ai critici e ai lettori belgi e francesi più attenti. Tanto da attirare l’attenzione su di lei e portare la trentasettenne scrittrice di Bruxelles a vincere in rapida successione il Grand Prix du concours de la Fedération Wallonie-Bruxelles, ma anche il Renaudot des Lycéens e il Fnac 2018.
L’originalità della scrittura di Adeline Dieudonné sta proprio in questo apparente contrasto. Da una parte, la scrittrice belga dichiara fin dalle prime righe della “Vita vera” di volersi prendere una libertà assoluta di raccontare. Tanto che affida all’incipit del libro il compito di seminare subito dubbi, di sconfinare nel campo largo del fantasticare: “A casa c’erano quattro stanze. La mia, quella del mio fratellino Gilles, quella dei miei genitori e quella dei cadaveri”. Senza dimenticare, poche righe più sotto, di far capire che non ha intenzione di cesellare una storia d’evasione. Dal momento che porta in campo una figura ingombrante, centrale nel divenire di questo romanzo d’esordio, e soprattutto drammaticamente concreta. Reale. Il padre. Un tipaccio che colleziona pezzi di cadaveri di animali, ammazzati da lui stesso, e “che avrebbe potuto decapitare un pulcino come si stappa una bottiglia di Coca”.
Molti scrittori adottano il trucchetto stilistico di prendere una voce di adolescente, provare a immaginare come racconterebbe la sua storia, infarcirla di banalità e luoghi comuni, e tirate dritto per la propria strada. Adeline Dieudonné, al contrario, cerca di auscultare, di respirare, di provare nella propria carne e nella tastiera del suo computer mentre scrive, i pensieri e le parole, le emozioni e i terrori, di una ragazzina di dieci anni. La sorella di Gilles, che deve combattere contro i mostri della sua famiglia. Non solo suo padre, un cacciatore violento e frustrato che lavora al luna park non lontano dai prefabbricati del Demo, e quando ritorna a casa finisce per trovare sempre un buon motivo per picchiare la moglie. Ma anche sua madre, una donna che ha assunto ormai le sembianze di un’ameba, dal momento che non sa individuare la via per fuggire lontano dall’orrore delle botte che riceve in famiglia. E riserva tutto il suo amore agli animali, alle caprette, al pappagallino che tiene chiuso in gabbia. Prigioniero come lei. Mentre i suoi simili scorrazzano felici là fuori, tra gli alberi del giardino.
Ma a diventare mostro, a cedere al richiamo maligno della iena impagliata che domina incontrastata la stanza paterna dei cadaveri, sarà proprio il fratellino adorato. Lo stesso Gilles che la sorella coccola e vizia, culla e protegge, fino a quando, un giorno qualunque, un sifone di panna scoppia in faccia all’ uomo dei gelati. E nella mente del ragazzino si insediano i germi della stessa malvagità, della stessa lucida follia del padre. Perché la vita troppo spesso è quella, governata da un orrore che non ha niente d magico.
Non c’è amore, nei giorni tutti uguali della protagonista della “Vita vera”. Se non un’attrazione precocissima e torbida per il Campione, il vicino di casa sposato e padre di due bambini, che un giorno l’aiuta a riprendersi la cagnetta Dovka, tenuta in ostaggio dal padre alcolizzato di uno dei bulletti del quartiere. Però, la ragazzina culla un grande sogno: quello di costruire una macchina del tempo, come nell’adorata trilogia cinematografica di “Ritorno al futuro”. Una sorta di DeLorean fatta su misura per viaggiare a ritroso nel passato e poter così cancellare le cose brutte del presente. Ridisegnando, insomma, la propria vita, quella del padre e della madre. Riuscendo a estirpare, soprattutto, i pensieri di morte e di violenza che si sono insediati nella testa del fratellino.
Ad aiutare la ragazza nel costruire il suo sogno impossibile è Monica, una donna che abita non lontano dal Demo. Un’amica più grande, segnata dalla vita, forse delusa dalle esperienze che ha fatto, ma non arresa alla mancanza di desideri. Sarà lei a deviare il fantastico progetto della protagonista verso qualcosa di meno immaginario, di più concreto. Raccontandole la grande sfida di Marie Curie. Illuminando la forza e la costanza incrollabile della prima donna a vincere un Premio Nobel riservato, fino ad allora, rigidamente agli uomini.
Ma prima di seguire con convinzione quel progetto, anche grazie all’aiuto del Professor Yotam Young, un genio invecchiato accanto a una moglie sfigurata da un terribile incidente, la ragazzina dovrà confrontarsi con la terribile realtà della vita vera. Con l’oscura forza della violenza e della follia all’interno della sua stessa famiglia. Perché è lì che si annida l’orrore, molto spesso, anche se certa retorica fa fatica ad ammetterlo. Anche se una voce conosciuta e suadente prova a celare il suo furore chiamandoti dolcemente “la mia bambina”.
Scritto con studiata semplicità, capace di creare mistero, suspense, in un contesto narrativo che non perde mai di vista l’orizzonte della realtà, dettato da un ritmo che si fa di pagina in pagina più rapido e incalzante, “La vita vera” è senza dubbio uno dei migliori romanzi d’esordio pubblicati negli ultimi anni. E segnala il nome di una scrittrice come Adeline Dieudonné che, pur senza grandi esperienze letterarie alle spalle, dimostra di vere ben chiara in testa la strada letteraria che vorrà seguire da qui al futuro.
<Alessandro Mezzena Lona