Da tre anni è in testa alle classifiche. E questo significa che cosa? Tutto e niente. Possiamo solo illuderci che i lettori tedeschi siano un po’ più raffinati di quelli italiani. Che non si facciano abbindolare dal primo romanzetto sdolcinato scritto apposta per vendere una tonnellata di copie. Eppure, vien da pensare, se Roberto Keller ha deciso di far tradurre e pubblicare il romanzo di Mariana Leky un motivo ci sarà. Anche perché in quindici anni di attività, l’editore trentino di Rovereto ha pubblicato un numero impressionante di libri bellissimi. Valorizzando autori fino a quel momento sconosciuti in Italia. Basterebbe ricordare che nel 2009, quando il Premio Nobel per la letteratura venne assegnato alla scrittrice rumena Herta Müller, solo lui aveva in catalogo: “Il paese delle prugne verdi”.
A fidarsi, in questo caso, si fa bene. Perché, ancora una volta, Keller editore fa scoprire ai lettori italiani un romanzo, e un’autrice, di assoluto valore. Ed è facile immaginare perché “Quel che si vede da qui”, tradotto in italiano da Scilla Forti (pagg. 329, euro 18), abbia riscosso un successo così clamoroso in Germania, tanto da diventare Libro dell’anno nel 2017 e poi proseguire la sua marcia trionfale nelle classifiche dei bestseller più venduti. Il fatto è che la scrittrice di Colonia non ha avuto paura di costruire la sua storia mescolando al racconto della vita reale di un piccolo paese del Westerwald storie, atmosfere, coincidenze, prese di preso dalla letteratura del realismo magico.
Potremmo dire di più. A tratti, “Quel che si vede da qui” riesce a spiazzare il lettore proprio per quel suo tono apparentemente favolistico. Per quel suo approccio alla storia dove niente sembra impossibile. E che poi, al contrario, deve fare i conti con tutte le difficoltà che gli uomini e le donne si trovano ad affrontare ogni giorno, da quando sorge il sole a quando tramonta. Amori sfortunati e malattie, morti precoci e depressioni, disastri naturali e oscure premonizioni. Come dire che la vita, nelle pagine del romanzo di Mariana Leky, non ha mai il sapore di una tazza di latte insaporita con troppo miele. Eppure, non impedisce nemmeno di alzare lo sguardo al di là dell’orizzonte del libro. Per ammettere che il fatto stesso di abitare questo nostro splendido pianeta, sospeso nell’oscurità dell’universo, lascia spazio a ogni tipo di illusione, di fantasticheria, di possibilità. Di mistero.
Sul minuscolo paese del Westerwald giganteggia una donna che si avvia verso la vecchiaia. È una nonna, si chiama Selma, ha perso suo marito troppo presto. Vive in una cosa dove il pavimento rischia di inghiottirla a ogni mossa sbagliata, condivide gran parte del suo tempo con Marlies. Anche se lui, l’ottico del paese, non è capace di dichiararle il suo amore. E finisce per collezionare una valigia di lettere, iniziate e mai finite, in cui apre il suo cuore, pur sapendo che lei non le leggerà mai. E poi c’è Luise, la sua nipotina, figlia di un padre inquieto e giramondo e di una madre per nulla convinta di essersi rifatta una vita con il gelataio del posto.
Selma è un po’ sciamana, o forse crede soltanto ai sogni. Certo è che quando di notte le appare l’immagine di un okapi, il buffo mammifero che sembra fatto assemblando pezzi di altri animali, entro ventiquattr’ore qualcuno muore tra la gente del paese. E quando sembra che, dopo il sogno funesto più recente, la Morte si sia scordata della piccola comunità del Westerwald, Luise perde proprio il suo amico più caro. Quel piccolo Martin che, per sopravvivere alle vessazioni del padre ubriacone e assassino di caprioli, si convince di essere il più promettente sollevatore di pesi del mondo.
Ma Luise, che racconta tutte queste storie con i propri occhi e la voce delicata che Mariana Leky le regala, saprà risollevarsi dopo una lunga fase di catatonia. Causata dallo shock per aver perso l’amico del cuore, Martin, spazzato via dal risucchio dio una porta del treno che si apre inaspettatamente. Nella sua vita, infatti, comparirà un buffo e affascinante monaco buddista, Frederik. Che pur vivendo in un eremo in Giappone, e avendo scelto la strada della solitudine per trovare l’illuminazione, saprà scardinare e valicare tutti i confini mentali e reali. Per mettersi di nuovo in discussione e inventare un futuro interamente da immaginare.
Delicato e ironico, fantasioso eppure capace di guardare negli occhi il male di vivere, scritto con una grazia e una felicità che il dio della letteratura concede a pochi autori, “Quel che si vede da qui” è un piccolo gioiello narrativo sorprendente e immaginifico. Perché Mariana Leky sa piegare la lingua alle proprie esigenze di racconto, sa dosare con grande efficacia il suo impasto affabulatorio. Senza mai farsi trascinare dalla voglia di spiegare troppo, di svelare i piccoli segreti che stanno alle spalle del romanzo. E poi, soprattutto, lascia che la magia del vivere alterni momenti bui a grandi arcobaleni. Non permette mai che l’illusione sovrasti la realtà. E nemmeno, però, il sogno si concluda appena uno dei suoi personaggi esce dalla fase onirica.
Che dire di più? Grazie Roberto Keller, piccolo grande mago dell’editoria italiana. Sempre pronto a innamorarsi di libri belli che altri suoi colleghi lascerebbero, senza troppi patemi, nell’enorme calderone dei romanzi mai pubblicati.
<Alessandro Mezzena Lona<