• 04/07/2021

Marij Čuk, “Fiamme nere” sull’anima di Trieste

Marij Čuk, “Fiamme nere” sull’anima di Trieste

Marij Čuk, “Fiamme nere” sull’anima di Trieste 1018 800 alemezlo
Raccontare la Storia è sempre una grande tentazione. Per ogni scrittore che non si accontenti di costruire trame narrative di pura invenzione. Ma, da sempre, ci si chiede: come farlo? In maniera del tutto aderente ai fatti? Oppure lasciando che alla cronologia degli eventi si sovrapponga la forze dei sentimenti, una certa empatia, l’indignazione, a volte il disprezzo o la totale sintonia con il passato? Bisogna scegliere, insomma, la via neo-manzoniana di una Maria Bellonci, che ha ricostruito la vita di Lucrezia Borgia con grande scrupolo nella biografia pubblicata nel 1939, oppure la liberissima re-interpretazione di un personaggio ancora vivente, al momento dell’uscita del libro, come “Limonov” di Emmanuel Carrère? Bisogna incamminarsi sulla strada immaginifica di Italo Calvino, che ha dato voce alla Resistenza in maniera del tutto sua nel “Sentiero dei nidi di ragno”, o cercare l’oggettività-soggettiva delle testimonianze di Primo Levi in “Se questo è un uomo”, di Boris Pahor in “Necropoli”, di Mario Rigoni Stern ne “Il sergente nella neve”?

Domande a cui, come è logico, sono arrivate mille risposte diverse. Perché non bisogna scordare che molti autori hanno scelto la via dell’ucronia. Come Guido Morselli in “Contro-passato prossimo”, in cui immaginava uno svolgimento della Grande guerra del tutto diverso da quello reale. O come Philip K. Dick ne “La svastica sul sole”. Mentre altri hanno addirittura reinventato personaggi reali in maniera del tutto libera. Come ha fatto, pochi mesi fa, la scrittrice californiana Emma Cline nel suo sorprendente “Harvey”, un breve romanzo in cui stravolge i termini della questione legata all’ex produttore cinematografico Harvey Weinstein. Accusato da molte donne, per lo più attrici, di violenza carnale e molestie sessuali.

In questa prospettiva, non può non affascinare un romanzo come “Fiamme nere”. Perché Marij Čuk, il giornalista, poeta e critico teatrale sloveno di Trieste, ha voluto concentrarsi nella sua nuova opera su uno degli episodi più oscuri e sconcertanti della storia italiana del ‘900: l’incendio del Narodni Dom. La casa della cultura slovena, progettata dall’architetto Max Fabiani, che ospitava anche l’Hotel Balkan, un teatro e molte altre attività pubbliche e private. Perché quella del 13 luglio 1920 è stata una criminale prova generale delle violenze che le squadracce fasciste avrebbero seminato, di lì a poco, nella Venezia Giulia e nel resto d’Italia. Scorribande raccontate da Boris Pahor nel suo romanzo “Il rogo nel porto”. Dove i fatti storici riprendevano vita filtrati attraverso i ricordi dello scrittore quand’era bambino.

In “Fiamme nere”, tradotto dall’originale sloveno “Črni obroč” dalla sempre brava Martina Clerici per la casa editrice Mladika (pagg. 159, euro 14), Marij Čuk, che è stato per molti anni capo redattore della Rai del Friuli-Venezia Giulia, ha scelto un approccio molto interessante alla Storia. Non si è fatto ingabbiare da una troppo pedante fedeltà a ciò che è accaduto a Trieste all’inizio di un torrido mese di luglio del 1920. E pur restando sempre fedele a quello che racconta la Storia, ha voluto costruire attorno alla vicenda un impianto narrativo del tutto originale. Facendo interagire tra loro persone realmente esistite e personaggi inventati. Lasciando che la fantasia si prendesse le sue libertà, pur senza mai permettersi di travisare quello che, ormai, molti storici di professione hanno stabilito.

Non bisogna dimenticare, infatti, che pagine importanti su questi eventi portano la firma di studiosi qualificati come Elio Apih, Marina Cattaruzza, Anna Vinci e altri.

Al centro di “Fiamme nere” ci sono l’assicuratore viennese Otto von Helmut e la sua giovane amante Flora Schwarzkopf. La loro segreta fuga d’amore a Trieste nasce all’insegna della comoda, e opportuna, giustificazione di un viaggio d’affari per mettere a punto alcune questioni che riguardano il settore immobiliare. Accolti da Franc Vrabec, un dipendente dello studio legale Vilfan, i due piccioncini prendono alloggio all’Hotel Balkan. Incantati da una Trieste affascinante e bella, affacciata sul mare, circondata da magnifici piccoli borghi carsici, prodiga di ottimo cibo, di accoglienti caffè, di eleganti negozi, la città rivela ben presto ai due visitatori la sua anima oscura. Intorbidita dalla presenza inquietante di Francesco Giunta, un avvocato toscano spedito nella Venezia Giulia da Benito Mussolini per rafforzare i fasci di combattimento. Ma anche per cancellare la tollerante atmosfera di convivenza tra popoli di lingue diverse, eredità dell’Impero austroungarico. E imporre con la violenza un unico credo: quello dei nazionalisti italiani.

Sempre attento a miscelare narrazione immaginaria e rispetto per la Storia, Marij Čuk costruisce le sue “Fiamme nere” attorno a tre livelli: la discesa nell’incubo di Otto e Flora, che giorno dopo giorno si trovano a vivere in una Trieste intrisa d’odio e pronta a far esplodere la violenza; il macchinare criminale di Francesco Giunta per aizzare l’astio contro gli sloveni e architettare un assalto clamoroso come quello del Narodni Dom, potendo contare sull’ignava titubanza di chi era preposto all’ordine pubblico; l’avvicinarsi tragico di una morte violenta per un personaggio troppo in fretta dimenticato come Hugo Roblek, farmacista di Bled e apprezzato alpinista, che perirà dopo essersi lanciato nel vuoto, insieme alla moglie Pavla, dal Narodni Dom in fiamme il 13 luglio del 1920.

Vittima di una troppo diffusa insensibilità nei confronti del valore della vita, Hugo Roblek, e dell’unicità di ogni persona, che ancora oggi porta qualcuno a scrivere che, in fondo, ci fu un solo morto in quella sciagurata giornata. Come se l’orrore dei fatti accaduti avesse maggiore diritto di cittadinanza tra le follie del ‘900 se si fossero contate almeno qualche centinaia di vittime.

Scritto con grande passione, senza mai emettere giudizi, ma lasciando che siano i lettori a trarre le conclusioni, “Fiamme nere” ricrea quello spirito di autentico sgomento di chi non ha mai compreso e giustificato tanto odio e tanta violenza. E Marij Čuk, muovendosi con attenzione e creatività tra fantasia e dati storici, non dimentica mai la sua anima poetica. Tanto da aprire, al termine di ogni capitolo, un orizzonte largo davanti agli occhi del lettore in cui l’incanto del paesaggio si contrappone all’oscura follia di chi voleva imporre le proprie convinzioni con la ferocia dell’intolleranza. Con la catastrofe della distruzione. Con l’annichilimento della morte.

Nel romanzo non mancano passaggi di grande ironia. Quando “Fiamme nere” lascia spazio alla logorroica gentilezza di Franc Vrabec, ma anche alla patetica e vile acquiescenza delle autorità nei confronti di un manipoli di fascisti esaltati, oppure alle descrizioni delle piccole gelosie tra donne, l’amante Flora e la moglie Pavla. Del resto, Marij Čuk ha abituato i suoi lettori, soprattutto quelli che ricordano le raccolte poetiche, a versi scritti senza peli sulla lingua. Basterà citare quelli folgoranti di “Nas obronkih-Sui versanti”: “Tutti i poeti d’oltreconfine / sono dei geni. / Senza eccezione. / Taluni hanno la barba, / i secondi i baffi, / i terzi invece / sono rasati a zero. / Tutti, senza eccezione, / scrivono versi geniali / d’oltre confine. / Parola d’onore”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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