• 02/07/2021

Ketty Rouf: “La mia prof. che di notte ritrova se stessa”

Ketty Rouf: “La mia prof. che di notte ritrova se stessa”

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“Il corpo non è esploso / esploderà / questa notte / improvvisamente / ad ora incerta”. Così scriveva il grande drammaturgo francese Antonin Artaud. Ed è proprio di notte, lontano dalle aule del liceo dove tenta di insegnare ai ragazzi la sua amata Filosofia, che la professoressa Joséphine fa esplodere la gabbia dentro la quale si sente rinchiusa. Rinuncia al ruolo di intellettuale fatto di troppe pillole di Xanax, pranzi consumati in. fretta, libri scambiati con un collega che potrebbe amarla, ma forse no. Diventa un’altra da sé, indossa i panni della ballerina di strip-tease. Abita il desiderio dei maschi, e lo domina, improvvisandosi Rose Lee. Una donna che non. nasconde la propria bellezza, il fascino del corpo, la seduzione di movimenti di danza studiati un po’ alla volta.

Joséphine-Rose Lee abita in un romanzo. Un libro sorprendente e bello. Si intitola “Non si tocca”, l’ha scritto Ketty Rouf, nata a Trieste da genitori italiani, da tempo emigrata a Parigi seguendo il suo desiderio di vivere e lavorare in una delle più belle città del mondo. Lo ha tradotto Valentina Abaterusso per le edizioni e/o (pagg. 185, euro 17). Pubblicato in Francia dalle prestigiose Editions Albin Michel, ha conquistato subito l’apprezzamento della critica e dei lettori. Tanto da assicurarsi subito un premio prestigioso nel 2020: il Prix du Premier Roman.

“Oggi non esisto. Probabilmente neanche domani. Nel fine settimana ingollerò tre gazzose alla menta in solitaria. Mi leccherò le dita – tutte le dita – dopo essermi rimpinzata di noccioline”. Assomiglia alla vita di tanti, quelli della Joséphine di “Non si tocca”. Un lavoro che le prosciuga la voglia di vivere, pochi amici che le interessi frequentare per davvero, minime soddisfazioni ricavate dalle sue belle lezioni di Filosofia a una classe di studenti del tutto disinteressata e ingestibile. Soltanto uno, forse il più enigmatico, Hadrien, riesce a stabilire con lei un segreto scambio di idee. Affidato a una serie di lettere che il ragazzo lascia alla sua prof. nella casella della posta a scuola.

Ed è proprio da lì, da quel vuoto di vita inesorabile, che prende forma un’idea del tutto eretica. Se la Filosofia non serve a niente, anzi “è una palla” come dicono i suoi studenti, allora Joséphine decide di rispondere a un richiamo inaspettato. La proposta di una compagna del corso di danza di entrare a far parte del corpo di ballo del Dreams, “mecca parigina dello strip-tease alla francese”. Comincia così, quasi per gioco, il viaggio lungo la notte di una donna che ha smesso di credere in se stessa. E che scoprirà, nello sguardo dei clienti del locale, quanto il suo corpo non sia poi da buttare. Quanto una donna intelligente e colta possa trasformarsi in un femme fatale. Vestita in maniera seducente, arrampicata su tacchi altissimi, pronta a mettere in risalto le proprie forme. Disponibile fino a un certo punto: perché la regola del locale è, appunto, che “Non si tocca” mai l’oggetto del desiderio.

Non sarà certo una schiava del desiderio maschile, Joséphine, nelle notti passate tra il palco e il privé del Dreams. Anzi, è lì che scoprirà una nuova libertà. Una leggerezza nel sentirsi guardata, ammirata, amata, anche se soltanto per poche ore. E quel coraggioso errare oltre i confini della trasgressione, accettando fino in fondo la propria femminilità, cambierà per sempre il suo approccio con l’essere. Con il vivere la normalità di ogni giorno. Perché riuscirà a trovare tanta umanità tra le ragazze dello strip-tease: l’amata Fleur, la graziosa Coquelicot, l’inflessibile Andrea. E anche assonanza con il pensiero dei suoi amati Marco Aurelio, Cartesio, Seneca che diceva “ci vuole tutta la vita per imparare a vivere”. Di certo, un coraggio di essere se stessi molto più intenso e deciso di quello della società, dove la scuola ha rinunciato a diffondere la cultura per non creare troppi problemi. E i rapporti tra le persone, troppo spesso, sono dominati da una cortese, implacabile indifferenza.

“Ho fatto studi di Filosofia. Ho insegnato Italiano in un liceo. E poi ho sempre fatto danza, ballare mi piace molto – racconta Ketty Rouf, seduta al tavolo di un Caffè della sua Trieste, nella via San Nicolò dove c’è ancora la Libreria Antiquaria gestita per lunghi anni dal poeta Umberto Saba -. In più ho girato molto per Parigi, anche di notte, in una città che ha mille anime, permette tantissimi incontri e regala anche la possibilità di viaggiare con la fantasia senza spostarsi troppo. E poi, conosco ragazze che si esibiscono nei locali di strip-tease. Luoghi molto chic, come ho cercato di raccontare nel mio romanzo, che attraggono anche tanti miei amici maschi”.

Joséphine è un’anima tormentata che si sdoppia?

“Soprattutto è un’insegnante frustrata. Tentata dal mondo della notte, ma anche spaventata dallo spettro della maldicenza, del pregiudizio. Ragionando sul romanzo, mi sono detta che doveva essere un personaggio normale, seppure istruito e colto, che prova in prima persona a vivere un’esperienza che certe donne magari immaginano, desiderano, ma che non avrebbero mai coraggio di provare. In fondo, Joséphine riesce a normalizzare un mondo che viene sempre demonizzato. Ribalta i valori. Dimostra come la vera oscenità non si nasconde là dove pensiamo sia nscontato che esista. Smitizza, insomma, il mito negativo”.

La sua storia spazza via il pregiudizio.

“Mi interessava proprio far capire ai lettori quante storie si nascondono dietro un mondo che immaginiamo volgare, estremo. Mille destini del tutto diversi tra loro. Poche settimane fa, in una trasmissione radiofonica francese, due infermiere hanno raccontato la loro doppia vita notturna. Una è ballerina al Crazy Horse, il leggendario cabaret parigino. E confessava di sentirsi, in quel ruolo notturno e lontano dalla sua vita di ogni giorno, più leggera, più viva. Perché si libera dalle responsabilità di chi deve confrontarsi sempre con la malattia, con la morte”.

La sua insegnante è ingabbiata dalla frustrazione del lavoro a scuola, dal troppo Xanax che usa contro l’ansia?

“A scuola, Joséphine è privata da qualsiasi autorità. Rompendo la gabbia in cui è costretta, liberandosi dagli schemi, lei va alla ricerca di se stessa. Scrivendo questo romanzo, ho voluto far riflettere i lettori sulla necessità, per tutti noi, di andare oltre il ruolo sociale che ci viene imposto, e che ci imponiamo”.

Ma davvero la scuola in Francia è andata così alla deriva?

“Quello che racconto non è una drammatizzazione della situazione reale. Le disavventure di Joséphine in classe, i rapporti surreali con la dirigente scolastica, rispecchiano esattamente la giornata tipo di un professore nelle scuole di Francia. Può accadere di peggio, ormai da una decina d’anni. I presidi tendono sempre a giustificare i ragazzi. Tempo fa, una mia collega ha invitato uno dei suoi studenti a indossare bene la mascherina in classe. Coperta di insulti da lui, ha dovuto giustificarsi per 40 minuti con il preside, che non voleva assolutamente crederle”.

Le riforme hanno impoverito anche i programmi di studio?

“Tantissimo. Ad esempio, non c’è più Storia della letteratura. I professori hanno il divieto di insegnare la grammatica. Addirittura stanno preparando libri per raccontare Molière nella lingua contemporanea, per facilitare la lettura. Come se noi, invece di leggere la Divina Commedia così com’è stata scritta, proponessimo a scuola una sua versione banalizzata. In pratica, la cultura classica è stata demonizzata come strumento di  potere di un’élite di persone. Quindi, invece di mettere tutti in grado di accedere al livello più alto di istruzione, hanno abbassato drammaticamente il livello”.

Non c’è mai la tentazione del moralismo nel suo romanzo.

“No, infatti. Mi interessava raccontare uomini molto fragili, dominati dal loro desiderio. Ma, al tempo stesso, non volevo guardarli con occhi troppo severi, critici. Perché Joséphine-Rose Lee riesce a trovare la propria liberazione proprio grazie allo sguardo dei maschi che la desiderano. E che lei domina, dall’alto della sua carica seduttiva”.

Troppi secoli di umiliazione dei corpi a vantaggio delle anime, delle menti?

“Ho pensato tanto a una certa parte della filosofia contemporanea, mentre scrivevo. Soprattutto quando riflette sul corpo vivo, che palpita, che esiste e non si può rinnegare. Il corpo è tutto quello che abbiamo. Già nella forma in cui veniamo al mondo, belli o brutti, grassi o magri, alti o bassi, è scritta una parte del nostro destino. Per questo, certi passaggi del romanzo sono volutamente provocatori: vogliono dire quanto la carne sia inscindibile dal pensiero”.

Le femministe la accuseranno di avere esaltato il luogo della dominazione maschile?

“A volte chi parla contro il patriarcato, contro la società maschilista, finisce per esasperare i toni del discorso. Mi rifiuto di pensare che se indosso scarpe con i tacchi divento schiava del desiderio maschile. Non credo che le donne si trucchino, si depilino, si profumino, soltanto per far piacere ai maschi. Anzi, la mia Joséphine riprende il cliché della femme fatale, ma per far piacere a se stessa. Nel locale di strip-tease è lei che comanda. E non si sente affatto dominata dalle voglie degli uomini”.

Ha iniziata ad amare i libri molto presto?

“Sì, da bambina. Mi è sempre piaciuto leggere. Poi, mia zia mi ha regalato un. diario. Così, dai nove anni in poi, ogni giorno scrivevo qualche pagina. Quella è stata la mia palestra d’allenamento, di avvicinamento alla scrittura, ma anche un bel modo per conservare tanti ricordi”.

Prima di “Non si tocca” ha fatto altri tentativi di romanzo?

“C’è stata una storia che assomigliava a questa. In tante versioni, poi buttate via. Mi sono servite soprattutto come studio della lingua francese. Dovevo trovare il mio stile, il mio ritmo. Era importante, per me, riuscire a scrivere il romanzo nella lingua del Paese dove vivo ,perché non riuscivo a collocare la vicenda se non a Parigi”.

Bello vincere il Prix du Premier Roman da scrittore non madrelingua?

“Ancora più bello sapere che un grande editore, come Albin Michel, si era innamorato del mio romanzo e voleva pubblicarlo. Sì, sono felicissima. E anche un po’ spaventata, perché mi chiedono già quale sarà il prossimo libro. Un’idea forte ce l’ho. Durante il periodo di lockdown per il Covid ho approfittato per scrivere la prima stesura. Vedremo se sarà quello il prossimo romanzo”.

Com’è nato il suo amore per la Francia?

“Risale a quando ero bambina. Ho visto un film, a quattro anni, con un personaggio maschile che ritornava da un lungo viaggio portando dei regali alla sua compagna. Tra questi, c’era una bambola bellissima, che ballava, acquistata a Parigi. Ecco , lì è nato il mio sogno di andare in Francia. Dove ci sono stata, per la prima volta a 12 anni in un weekend di Pasqua, con i miei genitori. Poi ho dedicato la mia tesi di laurea al filosofo Paul Ricœur. E mi sono intestardita a fare l’Erasmus proprio a Parigi, che ho ottenuto. Sono un’italiana che non potrebbe fare a meno della Francia. Forse, un giorno riuscirò a vivere un po’ qui un po’ là, nei miei due Paesi”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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