Ci sono regole da rispettare, se vuoi far parte della società. Codici di comportamento predefiniti. Cose che si possono fare, che si devono fare, insieme ad altre che è meglio evitare. Altrimenti? Lentamente, ti trovi a scivolare verso i margini. Dove, in agguato, c’è il gorgo dell’anonimato, la penombra dell’esclusione. La zona grigia di un non essere che mai più sarà al centro dell’attenzione di nessuno. Lì, in quell’opacità così vicina, e così lontana, dalla realtà scintillante del nostro mondo si ferma spesso lo sguardo di una scrittrice come Emma Cline.
Una cosa è certa: a Emma Cline non interessa consolare i suoi lettori. Perché lei preferisce inquietarli. Invitandoli a seguirla mentre ripercorre i passi di qualche outsider. Di certi personaggi che hanno smesso di rispettare le regole. E sono scivolati, forse senza esserne completamente consci, verso quella penombra da cui faranno fatica a liberarsi. Era così per “Le ragazze”, il suo clamoroso romanzo di debutto del 2016. Dove in primo piano la scrittrice di Sonoma, California, portava l’incerto cammino di un gruppo di adolescenti entrate nell’orbita pericolosa di una sorta di cialtronesco guru stile Charles Manson. Era così per “Harvey,” una sorta di grigia e sfuggente reincarnazione del Weinstein investito dal ciclone del MeToo. E scalzato dal suo ruolo di potere a Hollywood. Era così anche per “Daddy”, dove la scrittrice metteva a nudo in una serie di racconti sui meccanismi di una famiglia un po’ troppo perfetta, su un’aspirante attrice che vende la propria biancheria su internet per tirare su quattro soldi, e sub altri protagonisti dell’anormale normalità del vivere.
Ed è sempre dalla stessa zona grigia che sbuca Alex. Ovvero la protagonista de “L’ospite”, il nuovo romanzo di Emma Cline tradotto da Monica Pareschi per Stile Libero di Einaudi (pagg. 275, euro 18). Una ragazza che per guadagnarsi da vivere è scesa a compromessi. Ha accettato di vendere il proprio corpo, scivolando lungo la china pericolosa di un degrado giustificato dall’illusione che non sarà per sempre. Perché, prima o poi, dovrà arrivare l’occasione giusta. Quella che le permetterà di non angosciarsi più. Di vivere senza pensare con terrore al domani. Senza farsi troppe domande. Senza lasciarsi condizionare da transitori scrupoli morali.
Alex è molto brava a infilarsi nelle case altrui, nelle vite altrui. Fino a quando incontra un uomo. Un. Simon tra tanti, niente di speciale, se non per il fatto che ha molti soldi. E le chiede soltanto di stare rigidamente dentro dle regole del buon vivere in società: “Tenere pulite le unghie. Mantenere l’alito fresco. Non lasciare grumi di dentifricio nel lavandino…”, e altre amenità di questo genere. Dovrà essere, insomma, una bambola perfetta da esibire agli amici, nei party. Fasciata dagli abiti che le regalerà lui. Agghindata con i gioielli che acquisterà sempree lui. Aggrappata a un sorriso di plastica che non dovrà mai spegnersi.
Ma quella vita fatta di noia, giornate trascorse a nuotare e abbronzarszi, rapporti sessuali del tutto dimenticabili e scialbi contatti umani con la fauna di straricchi che ruota attorno a Simon, arriva il momento in cui il meccanismo perfetto della finzione è destinato a incepparsi. Basta un granellino di sabbia, un gesto non controllato perfettamente, un’involontario atto di insubordinazione, per cancellare per sempre quella convivenza basata sulla finzione. Accade infatti che una sera, durante uno dei tanti party, Alex decida di fare la cretina con il giovane compagno della attempata padrona di casa. Niente di che, soltanto un tuffo in piscina e qualche banale moina a distanza troppo ravvicinata.
Ma è pur sempre un atto di insubordinazione. Una dichiarazione di guerra al codice di comportamento della perfetta bambola da esibire in società E, infatti, in un lampo la vita di Alex cambia completamente rotta. Perché il freddo Simon incarica la sua segretaria tuttofare Lori di metterla alla porta. Di pagarla il biglietto per New York e rispedirla nl suo mondo. Escludendola dai confini di quel microscopico paradiso per straricchi che rispettano alla lettera il protocollo. Pur combinandone di tutti i colori, ma senza farsi troppo notare.
Comincia, così, per Alex una sorta di maratona di sopravvivenza. Lei, infatti, a New York non ci vuole proprio ritornare. Primo perché i suoi ex coinquilini le farebbero pagare subito il mostruoso affitto arretrato dell’appartamento che condividono. E, poi, perché c’è sempre l’ossessivo Dom che la aspetta al varco. Un tipo con cui ha passato qualche ora nemmeno troppo piacevole che, da quel momento, non la smette mai di assillarla con i suoi messaggi minacciosi, con le telefonate invadenti. Recuperando, non si sa bene come, informazioni sui suoi spostamenti.
In un’intervista, Emma Cline ha raccontato quando ha capito che avrebbe di avere trovato l’ambientazione, l’idea giusta per scrivere “L’ospite” e perché: “A un’ora da New York c’è una località di mare. Sono gli Hamptons, nell’estremità orientale di Long Island, dove i ricconi dell’Upper East Side trascorrono le estati e i fine settimana nelle loro strepitose case. Mi affascinava quel mondo a parte, così esclusivo che è vietato perfino parcheggiare la macchina vicino alla spiaggia senza il permesso. che, peraltro, è concesso soltanto ai residenti. Quando ci sono capitata, un giorno, con un amico, mi sono chiesta subito come se la sarebbe cavata una persona estranea calata in quell’ambiente di regole e rituali così rigide”.
Alex è vittima e carnefice. È la scroccona che si insinua nella vita degli altri. È l’amica che finge di voler passare del tempo con la sconosciuta Margaret solo per approfittare per un po’ della sua vita agiata. È la ragazza carina che dice a Jack “ti amo” soltanto perché spera che lui le permetta di risolvere la propria straziante situazione economica. Ma è anche la fidanzata di rappresentanza di Simon, che non esita a scaricarla illudendola che un domani, chissà, potrebbe ripensarci. È la preda perfetta per uomini paranoici come Dom, che si illudono di poter improvvisare una vita di coppia insieme a lei senza nemmeno averle chiesto se è d’accordo. Perché, in fondo, Emma Cline è convinta che “la gente accetta quasi sempre di essere vittima di qualcuno, a piccole dosi”.
Lucido e implacabile, scritto senza concedere nemmeno una pagina alla retorica, coinvolgente come un romanzo noir, torbido come uno sguardo feroce sui riti sociali e appassionante come le migliori serie tv, “L’ospite” dimostra che Emma Cline è l’erede designata dal grande romanzo americano. Mas non solo, perché è capace di impastare la geometrica immaginazione di Don DeLillo alle folgoranti intuizioni della maestra del racconto Alice Munro. Ma c’è di più, perché nello stile della trentaquattrenne scrittrice californiana si possono rintracciare anche la visionarietà del miglior cinema d’autore e la spietata capacità di frugare tra le miserie della realtà del grande giornalismo .
Ed è bello sentirla ribattere a chi voleva che fosse lei a scrivere la sceneggiatura de “Le ragazze” per il grande schermo: “Non mi interessa, non ho tempo. Ci sono altre storie che aspettano di essere raccontate”.
<Alessandro Mezzena Lona