Dicono che “Twilight” abbia cambiato faccia ai vampiri. Sbagliano. Perché l’immagine dei succhiasangue si era data una bella ripulita ben prima che uscisse la quadrilogia di Stephenie Meyer, tra il 2005 e il 2008. Romanzi che, poi, sono stati trasformati in cinque film firmati da registi diversi, ma sceneggiati tutti da Melissa Rosenberg. Basterebbe pensare ai non morti decisamente glamour di “Miriam si sveglia a mezzanotte”, realizzato nel 1983 da Tony Scott con David Bowie, Catherine Deneuve e Susan Sarandon che entravano in scena sulle note di “Bela Lugos’s dead” dei Bauhaus. Oppure ai “Ragazzi perduti” di Richard Donner e Joel Schumacher, uscito nel 1987, con un efficace Kiefer Sutherland che predicava: “Dormi tutto il giorno, fai festa tutta la notte, non invecchi mai”. E non bisogna dimenticare la conturbante Salma Hayek che guidava, nel 1985, la carica degli orripilanti vampiri in “Dal tramonto all’alba”, girato da Robert Rodriguez con la benedizione di Quentin Tarantino. Impossibile non citare, ancora, lo splendido film svedese “Lasciami entrare” di Tomas Alfredson, in cui la protagonista assoluta era l’eterna dodicenne Eli che riusciva a far innamorare l’amichetto Oskar, pur lasciando dietro a sé una scia di cadaveri insanguinati.
Nelle storie disegnate, poi, i vampiri hanno subito mutazioni continue. Dagli Antichi e gli Acqueos dell’universo Marvel fino ad arrivare al Dampyr creato da Mauro Boselli e Maurizio Colombo per Sergio Bonelli Editore, approdato poi sul grande schermo nel 2022 nella versione di Riccardo Chemello. Adesso, una nuova sfida al mondo dei non morti la lancia quella che è, senza dubbio, la migliore autrice di graphic novel in Italia. Vanna Vinci, cagliaritana trapiantata ormai da anni a Bologna, ha infatti iniziato un “Viaggio notturno” tra parole e disegni, proprio con Bonelli Editore. Il primo volume, intitolato “La casa” (euro 18) è appena uscito. Ne arriveranno altri tre a completare la storia: il secondo è annunciato per l’inizio della primavera 2024.
Non è la prima volta che Vanna Vinci si confronta con i vampiri. Lo ricorda lei stessa nella postfazione pubblicata, con uno splendido apparato di disegni preparatori, alla fine del suo primo “Viaggio notturno”. Scrive, infatti, l’autrice: “Questa è la mia terza storia a fumetti che parla di vampiri. La prima è stata ‘L’altra parte’ pubblicata alla fine degli anni Ottanta da Granata Press. Seguita da ‘Una casa a Venezia”, scritta daGiovanni Mattioli, e prodotta dalla casa editrice giapponese Kodansha a metà degli anni Novanta”. In tutti e due i casi, però, il protagonista era un giovane solitario dall’aria romantica. un tipo decadente, disilluso, un po’ alla Charles Baudelaire, che si aggirava “tra hotel e strade della plasticosa Milano anni Ottanta e per le calli di una Venezia notturna”.
Adesso, “Viaggio notturno” porta Vanna Vinci a confrontarsi con la sua città adottiva: Bologna. La costringe a osservare la sua anima oscura, i giardini segreti, i sotterranei che la attraversano come un reticolo di vene piene di sangue. La porta a sfatare il luogo comune della città allegra, godereccia, solare, nel cui centro “non si perde neanche un bambino”, come cantava Lucio Dalla in “Disperato erotico stomp”. La invita ad ascoltare vecchie, inquiete storie sussurrate a fior di labbra. E a scoprire quel cuore di tenebra che batte piano scandendo il tempo sulle note della musica gothic, sulla letteratura dell’inquietudini, sulla pittura che alza sempre gli occhi oltre il filo dell’orizzonte. Per captare i segnali che arrivano da una dimensione mai esplorata fino in fondo.
Al centro della storia c’è Jana. E già nel suo nome, come rivela Vanna Vinci, si celano le coordinate di questa storia. Perché “Jana è un nome sardo che significa strega, ma anche fata. Le ‘domus de janas’ sono delle tombe preistoriche scavate nella roccia, che secondo vecchio leggende erano le case delle fate”. Quando la ragazza arriva a Bologna, si trova subito a dover prendere delle decisioni importanti. Una vecchia amica, la pittrice Vera Mayers, le ha lasciato in eredità il suo appartamento, pieno di tutti i libri, i quadri e gli oggetti che possedeva. Che cosa deve fare: venderlo, tenerlo per sé?
Quella casa è rimasta cristallizzata nel tempo. Jana si trova subito a vivere esperienze sensoriali fortissime. Soprattutto quando si accorge che un’autoritratto di Vera Mayers funziona, con lei, come una storia di specchio. In cui si riflettono misteriosi messaggi e richiami. Quando, poi, si mette a leggere un vecchissimo libro, intitolato “I Neuri, ovvero della vita surrettizia”, scopre l’esistenza di un popolo dimenticato del Nord Europa, di cui si sarebbe occupato anche Erodoto, famosi per essere sciamani e per riuscire a trasformarsi, una volta l’anno, in licantropi. Ma cosa c’entrano loro con Bologna e con la sua benefattrice?
Cercando notizia sul libro, e sui Neuri, Jana entra in contatto con uno strano antiquario,. Veste come un Mod, ha i capelli bianchi tagliati un po’ nello stile di Paul Weller o di Steve Diggle dei Buzzcocks, porta sempre abiti neri: t-shirt, giubbotto di pelle, jeans e stivaletti beat. Nasconde gli occhi dietro un paio di lenti rosse. Sarà lui a traghettare la ragazza verso il cuore oscuro di Bologna. Lui, che come i Neuri, sembra avere un ossessivo interesse per il sangue.
Con “Viaggio notturno”, Vanna Vinci abbandona per un po’ il percorso che l’ha portata a esplorare e raccontare le vite di donne straordinarie: da “la Casati, musa egoista” a “Tamara de Lempicka, icona dell’art déco”, da “Frida Kahlo. Operetta amorale a fumetti”, a “Io sono Maria Callas”, passando per le esemplari vite di grandi libertine in “Parle moi d’amour”. E si allontana pure dall’urticante sguardo sul mondo reale della “Bambina filosofica”. Questa volta, infatti, si lascia condurre dalla fascinazione che l’aveva già portata ad attraversare i territori del mistero, dell’inspiegabile, con “Aida al confine”, “L’attrazione del buio” e anche “Il richiamo di Alma”, ispirato al romanzo di Stelio Mattioni.
“Viaggio notturno” diventa un po’ la resa dei conti di Vanna Vinci con la città che ama e che vive quotidianamente: Bologna. Incarna il desiderio di raccontarla secondo un’impressione fantasmatica. Ovvero, stando alla filosofia di Aristotele, di un disvelamento sensoriale quando lo sguardo si avventura a scrutare al di là del velo che protegge la realtà.
Questo “Viaggio notturno”, Vanna Vinci lo disegna con un tratto preciso, netto, pieno di improvvise aperture alla luce e di precipitose fughe nel buio. Scrive la storia con una cadenza dal sottile fascino ossessivo. Tanto che, pagina dopo pagina, il gorgo degli avvenimenti trascina il lettore in una dimensione dove tutto è credibile. Ma, al tempo stresso, ogni persona, ogni cosa, le sensazioni più impalpabili e le suggestioni più forti, nascondono un doppio fondo. Un arcano inganno, o un’impensabile rivelazione.
E il bello deve ancora arrivare.
<Alessandro Mezzena Lona