• 30/12/2017

Elsa de’ Giorgi, un Raggio di Sole per Italo Calvino

Elsa de’ Giorgi, un Raggio di Sole per Italo Calvino

Elsa de’ Giorgi, un Raggio di Sole per Italo Calvino 900 500 alemezlo
Era davvero bella, anzi bellissima, Elsa de’ Giorgi. Ma convincersi che, oltre a una splendida attrice, fosse anche una scrittrice di valore era davvero difficile. Così, chi non amava lei e tutto il giro della nobiltà “rossa”, come i fascisti del “Borghese”, tagliava corto. E si divertiva a liquidarla com “il più bel petto della Resistenza”. Chi, invece, le voleva bene, la stimava, come Paola Olivetti, sorella di Natalia Ginzburg e moglie dell’illuminato industriale Adriano, le consigliava affettuosamente di lasciar perdere: “Sei troppo bella per scrivere. Tu la vita la devi vivere, insegnare vivendola, non scriverla. Vai a curvare le tue belle spalle. Lascia scrivere i brutti”.

Ma Elsa de’ Giorgi, che aveva debuttato al cinema con “T’amerò sempre” diretta da Mario Camerini, sapeva di non essere solo una statua di carne. Di avere una testa oltre che un corpo. E di poter scrivere libri come “I coetanei”, che uscirà nel 1955 con la prefazione dello storico Gaetano Salvemini. E che farà scrivere parole di lode a più di un critico, dal momento che sapeva raccontare gli anni della Resistenza senza aggrapparsi alla retorica. Dando voce a una generazione di ragazzi che aveva sognato un’Italia più libera e coraggiosa dopo gli anni bui del fascismo.

E proprio quel suo non volersi arrendere al ruolo di diva corteggiata, desiderata, da tutti, la portò a incrociare i suoi passi con Italo Calvino. Uno dei più giovani, apprezzati scrittori della scuderia Einaudi. Figlio di botanici, comunista convinto e coerente. Capitò non per caso che la contessa-attrice e l’autore del “Sentiero dei nidi di ragno” si ritrovassero tutti e due a Firenze. Lui per tenere una conferenza intitolata “Il midollo del leone”, lei perché doveva discutere proprio con quel talento della letteratura italiana della pubblicazione dei suoi “Coetanei”, già apprezzati e approdati in casa Einaudi.

Elsa de’Giorgi era sposata, allora, con il conte Sandrino Contini Bonacossi. Rampollo della famiglia che possedeva una delle collezioni d’arte più importanti al mondo. Italo Calvino, di nove anni più giovane, figlio di due bravissimi botanici, le apparve in quel primo incontro a Firenze “dimesso, nonostante la volitività del bel viso bruno, vestito in una convenzionalità da piccolo burocrate, ben lontana dalla nonchalance trasgressiva bohémienne e spavalda degli intellettuali romani, specie giovani”.

Lui cercò di restare sulla difensiva. Le disse, “oh, ma io devo parlarle”. Poi provò a volare su temi alti, parlandone del testo che aveva scritto: “Molto bello l’accenno alle donne di Pavese”. Ma neanche un intellettuale così serio, con quella ruga tra gli occhi neri, mobili e attenti che conferivano “una certa severità al viso stretto da uccello”, con quei “sorrisi a labbra chiuse” che mai si distendevano in una risata liberatoria, poteva restare indifferente allo splendore di Elsa de’ Giorgi. Nacque, così, una storia d’amore segretissima, tormentata eppure piena di momenti di grande felicità, che l’attrice-scrittrice rivelò molto anni dopo, mettendo fine a tonnellate di pettegolezzi, in un libro ormai esaurito da tempo. E che, adesso, Feltrinelli ripropone nella sua Universale Economica: “Ho visto partire il tuo treno” (pagg. 295, euro 9,50).

Un amore difficile. Visto che il marito di Elsa de’ Giorgi, poco dopo l’incontro fatale con Calvino, era sparito nel nulla. Dando notizie di sé  solo dopo lunghi giorni di tensione e di paura per la sua stessa incolumità con una lettera in cui diceva alla moglie: “Se vuoi e se puoi cerca di rifarti una vita fino al mio ritorno… io la vivrò solo per riaverti e riprenderti tra le braccia”. Un amore, però, al tempo stesso importantissimo, forte, capace di segnare la produzione letteraria dello stesso Calvino, oltre che la sua vita. Se è vero, come ricorda Roberto Deidier nella sua bella prefazione al libro, che lo scrittore decise di dedicare la raccolta delle “Fiabe italiane” al Suo Raggio di Sole. Che altro non era se non l’anagramma di Elsa de’ Giorgi. E che, poi, tante situazioni narrative, tanti personaggi degli “Amori difficili”, del “Visconte dimezzato”, del “Cavaliere inesistente” e della “Nuvola di smog”, portano impresse nella propria esistenza stessa le stigmate di quella passione a cui la stampa italiana dava la caccia invano.

Centinaia sono le lettere che Calvino ha scritto all’amata Elsa. La più famosa è quella che ha suggerito il titolo al libro. Sintesi perfetta dello strazio, del senso di impotenza che provava lo scrittore ogni volta che doveva separarsi dalla de’ Giorgi: “Ho visto partire il tuo treno, tu al finestrino, t’ho salutato non visto, dal finestrino di coda del mio treno, bellissima. poi per tutto il viaggio ho assaporato nel dormiveglia… Il treno che mi sta trascinando su per l’Italia e quello che ti porterà verso il Sud mi paiono un’immagine di feroce violenza come due cavalli frustati in direzioni opposte che dilaniano un unico corpo”.

Per tutto il tempo, quell’amore è stato costretto a rubare gli attimi di felicità. Tra un treno che partiva e l’altro, tra una lettera piena di aspettative e quella successiva, che doveva fare l’inventario degli attimi belli sognandone di nuovi, futuri, con la paura che qualcosa o qualcuno li potesse spazzare via. E, a un certo punto, è diventato materia di scrittura, di pubblicazione. Non senza il solito codazzo di pruriginosi commenti bacchettoni. Tanto che, quando nel settembre del 1990 il settimanale “Epoca” decise di rivelare stralci delle missive che lo scrittore inviava alla contessa attrice, Alberto Moravia cercò di mettere fine a tutto il chiacchiericcio che si era alzato dicendo: “Le lettere d’amore si difendono da sé”.

Anni difficili, quelli, in cui l’Italia era costretta a fare i conti con la delusione per i mille tradimenti che la Repubblica aveva inferto ai sogni della Resistenza. E per quel comunismo “reale” che, sotto il pugno di ferro dell’Unione Sovietica, soffocò nel sangue e nella violenza l’illusione di una via socialista alla libertà in Ungheria. Creando una frattura insanabile tra gli intellettuali italiani ed europei che avevano fatto del Verbo marxista un baluardo contro nuove tentazioni dittatoriali.

Calvino stesso decise di allontanarsi dal Pci, dai vecchi compagni di strada. E quella scelta portò un cambiamento radicale anche nel suo modo di scrivere, di considerare il ruolo nella letteratura nel divenire di un presente sempre più difficile da interpretare. Basti pensare a libri come “Le cosmicomiche”, a quel capolavoro che è “Le città invisibili”, a “Se una notte d’inverno un viaggiatore”.

Rimane la bellezza di una storia che si è nutrita a lungo di frasi come “che mi importa il mare se tu non mi ami”. Perché, in quel momento, per Italo Calvino era più importante Elsa de’ Giorgi dell’intero oceano. Di tutti i mari che rendono il nostro pianeta il più blu dell’universo. Poi, come ogni umana avventura, anche quella passione cos’ incandescente ha perso piano piano i suoi colori più belli. Si è trasformata in un treno malinconico, solitario, che sarebbe partito ancora una volta, per non fare più ritorno.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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