• 21/09/2023

Italo Calvino, la letteratura è stare in mezzo al mondo

Italo Calvino, la letteratura è stare in mezzo al mondo

Italo Calvino, la letteratura è stare in mezzo al mondo 314 160 alemezlo
Catalogare uno scrittore, un artista, si sa è sempre molto difficile. Perché si rischia di inchiodarlo a un un’invenzione verbale transitoria, a un giro di parole che magari può essere valido per una piccola parte del suo percorso creativo. Ma che, a lungo andare, lo imprigiona, lo cristallizza, finisce per soffocarlo. Questo, per fortuna, non è successo a Italo Calvino. Definito da Cesare Pavese “lo scoiattolo della penna”, quando il 26 ottobre del 1947 Einaudi pubblicò il suo splendido romanzo di debutto “Il sentiero dei nidi di ragno”, lo scrittore nato a Santiago de Las Vegas nel 1923, e morto a Santa Maria della Scala nel 1985, non ha mai smesso di assomigliare al folletto degli alberi dalla pelliccia ramata e la lunga coda. Sempre pronto a sfuggire a chi voleva chiuderlo in un angolo, fosse indifferentemente di tipo politico, ideologico, letterario o antropologico.

Così, non meraviglia adesso scoprire che molte persone, in occasione del centenario della sua nascita, abbiano preferito affidarsi ai ricordi, alle discrete frequentazioni, alle parole sempre misurate che usava nelle conversazioni tra amici, ma anche nelle interviste rilasciate ai giornali, per scrivere libri che non raccontano un altro Italo Calvino. Perché il romanziere, il saggista, l’autore di articoli sempre lucidissimi e affascinanti, alla fine era un tutt’uno con l’uomo che non disdegnava la sera, come un cittadino qualunque di Parigi, di occuparsi dello smaltimento dei rifiuti di famiglia. Gesto quotidiano che gli suggerì un racconto straordinario, “La poubelle agréée” pubblicato nella raccolta di testi postumi “La strada di San Giovanni” pubblicato da Mondadori nel 1990, in cui proponeva l’arduo aforisma: “L’uomo è ciò che non butta via”. Premonizione di un tempo di là da venire, che noi stiamo abitando, dove le montagne di pattume soffocano splendide città come Roma e Napoli. Formano gigantesche isole in mezzo agli oceani.E rischiano di trasformare la nostra meravigliosa Terra in un colossale immondezzaio.

Delizioso risulta, allora, il libro che Bernardo Valli, mitico giornalista del “Giorno”, “Corriere della Serra”, “la Repubblica” e “La Stampa”, ha voluto intitolare semplicemente “Italo”. Perché tutto, in queste meno di cento pagine, risulta azzeccato. A partire dalla copertina, essenziale e luminosa creata da Elena Passeggi per le edizioni Ventanas di Roma (pagg. 87, euro 14). Per proseguire con la scelta dei testi, che comprendono una prima parte dedicata all’amicizia tra l’autore e Italo Calvino. E una seconda in cui vengono riproposte quattro interviste più due ricordi di Valli stesso. Articoli pubblicati tutti sulle pagine culturali del quotidiano “la Repubblica”.

Basta lasciarsi trasportare dal flusso delle parole di Bernardo Valli, per innamorarsi subito del Calvino che ne emerge. Un “critico diretto e senza ambiguità”, che preferiva esprimere con i silenzi i suoi pareri negativi, che “non sprecava le parole” e approfittava di “un amico estraneo al mondo letterario per utilizzare un linguaggio più libero”. L’autore della trilogia dei “Nostri antenati” e delle “Città invisibili”, finiva per essere coerente con le proprie scelte anche quando gli arrivavano offerte di collaborazione importanti. Come quella che gli fece, reiteratamente, il suo vecchio compagno di scuola Eugenio Scalfari tra il 1977 e il 1979.

Racconta Bernardo Valli che, essendo “basato a Parigi come redattore di Repubblica”, aveva partecipato in quegli anni “all’operazione recupero di Calvino, di cui sono diventato amico. Italo ricorda il vecchgio compagno di scuola come un po’ prepotnte, invadente, con il quale deve essere difficile lavorare. Infine Calvino e Scalfari accettano un invito a cena in casa mia, con le mogli Chichita e Simonetta. Il pranzo è stato glaciale, ben lontano da quel che uno immagini che possa essere l’incontro dopo decenni tra due vecchi compagni di classe. Anzi di banco. Ma accade il miracolo”. Qualche mese dopo, Calvino inviterà Valli a pranzo per dirgli che ha deciso di lasciare il “Corriere della Sera” e collaborare a “Repubblica”. Con una risata, commenterà la sua scelta dicendo che il quotidiano romano, in quel momento, vende di più. E, poi, Scalfari “ha promesso di non disturbarlo”.

Sempre puntuali, lucide e affascinanti appaiono, ancora oggi, le riflessioni sulla letteratura che Italo Calvino affidata ad alcune interviste scritte da Bernardo Valli per “la Repubblica” sul finire degli anni Settanta. Dialogare con lui era come spalancare un pozzo profondissimo, da cui uscivano conferme e sosprese. Se era scontato che lo scrittore non dimenticasse mai di indicare in. Joseph Conrad, lo scrittore polacco-britannico di “Cuore di tenebra” e “La linea d’ombra” a cui nel 1947 dedicò la sua tesi di laurea, uno dei punti di riferimento imprescindibile, stupisce trovare tra i romanzi più amati e originali di Jules Verne “Hector Servadac”. Tradotto pochissimo in italiano, quasi introvabile ormai sul mercato librario. E mutato, spesso, nel titolo in “Avventure attraverso il mondo solare. Avventure di Ettore Servadac” (ad esempio nell’edizione Sonzogno del 1891, “unica traduzione autorizzata dall’Autore”, in cui Jules Verne era ancora italianizzato in Giulio Verne). Un libro modernissimo e del tutto in anticipo sui suoi tempi in cui “un pezzo di Terra – raccontava Calvino – si stacca dal pianeta e diventa un satellite con sopra alcuni personaggi. Sì, il problema è: questi personaggi come faranno a riprendere i contatti con la Terra”.

Era prevedibile che, a 100 anni dalla nascita di Italo Calvino, l’editoria si scatenasse per ricordarlo in tutti i modi possibili. Tra le uscite più interessanti non può mancare una segnalazione per “Lo Scoiattolo sulla Senna”, scritto da un ottimo giornalista culturale e organizzatore di eventi: Fabio Gambaro per Feltrinelli (pagg. 169, euro 18). Un viaggio negli anni parigini di Italo Calvino, iniziati nel 1967 e terminati nel 1980, cinque anni prima della morte. In cui lo Scoiattolo della penna, come lo definì Cesare Pavese nel 1947 dopo aver letto “Il sentiero dei nidi di ragno”, si concesse un periodo di esilio e creazione letteraria. Di silenzi e grande fervore creativo. Anche a contatto con intellettuali di indiscusso fascino e valore come Raymond Queneau, Georges Perec e il cenacolo degli scrittori di Oulipo, ma anche Roland Barthes.

Tempo sospeso, eppure attraversato da intuizioni letterarie sostenute da una luce vividissima, in cui presero forma “Il castello dei destini incrociati”, lo splendido, misterioso viaggio attraverso le “Città invisibili”, il più pirotecnico e immaginifico romanzo che destruttura e ricostruisce il romanzo stesso: “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. Un periodo, insomma, che ha consentito a Italo Calvino di allontanarsi dalle beghe italiane e mettere bene a fuoco le nuove traiettorie del suo percorso letterario. Come dire che la vena sperimentale, già tentata ne “Le cosmicomiche” e in “Ti con zero” soprattutto, ha trovato in quel momento la strada per esprimere tutte le sue potenzialità. In un ambiente letterario e culturale dove i critici non aspettavano con il fucile spianato ogni nuova uscita dell’autore nato a Cuba.

E a proposito degli esordi di Italo Calvino, non si può non segnalare una nuova edizione del “Sentiero dei nidi di ragno” (Oscar Mondadori Cult, pagg. 183, e . uro 14). Accanto al romanzo che rivelò all’Italia un nuovo talento letterario viena pubblicata una lunga introduzione che lo stesso autore scrisse nel 1964: “Che impressione mi fa, riprenderlo in mano adesso? Più che come un’opera mia lo leggo come un libro nato anonimamente dal clima generale di un’epoca, da una tensione morale, da un gusto letterario che era quello in cui la nostra generazione si riconosceva, d opo la fine della SecondaGuerra Mondiale”.

A rendere questo volume non una semplice ristampa è anche l’aggiunta di un racconto rimasto finora inedito. “Flirt prima di battersi” risale al 1946 e precede la serie degli “Amori impossibili” incentrando la storia sul rapporto amoroso acerbo e incerto tra due giovani, che verrà troncato dalla scelta del protagonista di farsi coinvolgere nella lotta partigiana.

Un vero gioiellino è “Il teatro dei ventagli” (Oscar Mondadori, pagg. 165, euro 16). Nasce da un progetto che Toti Scialoja, artista dell’espressionismo astratto, scenografo e autore di filastrocche, propose a Italo Calvino nel 1977. Si trattava, insomma, di scrivere una serie di fiabe in forma teatrale da inserire in un programma televisivo per ragazzi. E, poi, trasferire in un libro con le illustrazioni dell’artista stesso.

Di tutto ciò rimane soltanto questo volumetto, con una ricca e interessantissima introduzione di Mario Barenghi. In cui si ripercorre il divenire del progetto stesso, mai portato a compimento. Ma, soprattutto, si ripropongono le lettere che si scambiarono Calvino e Scialoja e i testi scritti dall’autore di “Palomar”.

Se, poi, si vuole ripercorrere l’intera umana avventura, attraversando tutte le tappe del suo divenire letterario, non si può mancare di leggere “Italo Calvino. Lo scrittore che voleva essere invisibile”. La ricchissima biografia (Oscar Saggi Baobab, pagg. 495, euro, 24) è opera di Antonio Serrano Cueto, che insegna Filologia latina all’Università di Cadice, e che con questo volume ha vinto il Premio Antonio Domíguez Ortiz de Biografías nel 2020, non si accontenta di analizzare la sua multiforme e prolifica attività di narratore, saggista, articolista, autore di fiabe. Ma scandaglia a fondo la biografia. Per tracciare una linea netta che ricomponga le due metà del visconte dimezzato Italo Calvino: prolifico scrittore e uomo.

Chi ama Italo Calvino non può assolutamente non acquistare, leggere e tenere con grande gioia nella propria biblioteca un librone che si intitola “Guardare”. Lo ha curato, con sconfinata curiosità e impeccabile precisione Marco Belpoliti per gli Oscar Mondadori Baobab (pagg. 740, euro 26). Raccoglie tutti gli scritti che l’autore ha dedicato, nel corso della sua vita, al disegno, al cinbema, alla fotografia, all’arte, al paesaggio. Affiancati, poi, dalle sezioni sulle “Narrazioni”, sulle “Visioni” e sulle “Collezioni”.

Diceva Italo Calvino: “L’unica cosa che vorrei poter insegnare è un modo di guardare, cioè di essere in mezzo al mondo. In fondo la letteratura non può insegnare altro”. E in una lettera a François Wahl si soffermava sulla propria “metodologia della narrazione”. confermando al suo intrerlocutore che il proprio punto di partenza era sempre l’immagine. Il racconto che, poi, ne derivava riusciva a sviluppare una logica interna all’immagine stessa, fino ad approdare a quella che definiva “contemplazione”.

Aggiungeva Italo Calvino che, spesso, i critici gli avevano rimproverato questo atteggiamento. Perché sostenevano che, alla fine, nelle sue storie era normale che tutto finisse per placarsi, per rasserenarsi e per mancare di tragicità. “Ma cosa posso dire? Effettivamente questo processo deve corrispondere alla mia psicologia, al mio rapporto verso il mondo, e non posso esprimere altro che questo, giusto o sbagliato che sia”.

In fondo, a ben guardare, aveva ragione Italo Calvino. La letteratura non può che insegnare un modo di guardare. Uno stare in mezzo al mondo. Per non lasciarsi ingannare da chi, della realtà, vuole fare una narrazione fasulla.

<Alessandro Mezzena Lona

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