Una via oscura lastricata di suoni. Un viaggio lento, illuminato da ossessioni e premonizioni musicali. Dove la più banale quotidianità diventa esplorazione degli angoli in penombra dell’essere. Questo è il mondo di Carla dal Forno, australiana con casa a Berlino, dalle evidentissime origini italiane: il nonno era veneto, anche se la bassista e polistrumentista è nata Melbourne. Dopo il suo album di debutto del 2016, “You know what it’s like” (che cita, forse involontariamente, ma non troppo, un famoso brano dei Genesis nell’era Peter Gabriel: “I know what I like” tratto da “Selling England by the pound”), arriva adesso un ep dal titolo “The garden”. Quattro brani, diciassette minuti di musica incisi sempre per l’etichetta Blackest Ever Black.
E proprio lì, nel nome della casa discografica che propone la musica di Carla dal Forno, e di Tropic of Cancer, Tarcar, Vatican Shadow, sta la chiave per entrare nel mondo di questa giovane diva delle sette note. Più Nero del Nero, infatti, sembra indicare la via lungo la quale si muove la verve creativa della bella australiana. Una sorta di angelo perduto che sembra uscita dalla fantasia di Davis Lynch, non ha niente da invidiare alla musa dark Crysta Bell, e dimostra di muoversi con grande competenza e fantasia in un mondo di creazioni sonore che hanno ascoltato, imparato la lezione dei Krafwterk e dei Talking Heads, di Brian Eno, dei Dead Can Dance, dei Velvet Underground di Nico. Senza farsi mancare qualche incursione nella classica contemporanea (da Wim Mertens ad Arvo Pärt) e nelle “heavenly voices”, che hanno regalato al mondo gothic folgoranti presenze oscure: a partire dal progetto This Mortal Coil fino ad arrivare a Chandeen, Love Spirals Downwards, Ordo Equitum Solis.
Quattro canzoni, si diceva, per entrare nel mondo nero più del nero di Carla dal Forno. Irrobustita da una base ritmica che fende l’oscuro incedere della musica, “We shouldn’t have” porta subito in primo piano la voce algida, ipnotica della musicista australiana di Berlino. “Clusters” esplora atmosfere sognanti, e al tempo stesso inquiete, che fanno riaffiorare dalla memoria il David Byrne di “Seen and not seen”, uno dei gioielli di quell’album indimenticabile che è “Remain in light” dei Talking Heads. Folgorante capolavoro uscito all’alba dell’8 ottobre 1980, quando ancora gli anni Duemila erano visti come un territorio esplorabile soltanto nelle più fantascientifiche fantasie.
“Make up talk” inocula in una struttura musicale perfetta per accompagnare qualche scena ad alta tensione di un film di paura un impianto percussivo del tutto figlio del kraftwerkiano techno pop, e delle successive rielaborazioni inventate dai seguaci dei genietti tedeschi. Pedinando sempre la voce di Carla dal Forno, che sembra arrivare da un mondo a parte, da un’isolata frontiera assai vicina ai nostri giorni tutti uguali, si chiude questa breve visita nel suo “Garden” ascoltando il brano omonimo. Con il desiderio immediato di continuare a frequentare i suoi paesaggi sonori. Di riuscire a superare quel muro di mistero che sta dentro una musica rarefatta e seducente.
Carla dal Forno sarà in tour in Italia a novembre. Il 4 suonerà al Colorificio Kroen di Verona, il 5 al Magnolia di Milano, il 6 al Largo Venue di Roma, il 7 al Locomotiv Club di Bologna, l’8 all’Astorti di Torino.
Alessandro Mezzena Lona