• 13/05/2018

Kader Abdolah: “Racconto la libertà seguendo le tracce di un despota”

Kader Abdolah: “Racconto la libertà seguendo le tracce di un despota”

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Con il Potere, Kader Abdolah ha qualche conto in sospeso. Dal momento che lui, iraniano di Arak, ha dovuto abbandonare il suo Paese dopo aver subito le persecuzioni del regime dello scià Reza Pahlavi e dell’ayatollah Khomeini. Eppure, nel suo nuovo romanzo lo scrittore della “Casa della moschea”, “Un pappagallo volò sull’Ijssel”, “Il viaggio delle bottiglie vuote”, ha trovato proprio nella figura di un uomo di potere, di un re, di un despota, il modo più limpido e letterariamente affascinante di raccontare la sua personale lotta per la libertà. Per riuscire a essere se stesso.

E ancora una volta, Hossein Sadjadi Ghaemmaghami Farahani, che da quando è diventato scrittore si fa chiamare Kader Abdolah, ha scelto di raccontare le sue nuove storie non nella lingua madre. Ma in quella del Paese che lo ha accolto una trentina d’anni fa come rifugiato politico: l’Olanda. “Uno scià alla corte d’Europa”, tradotto da Elisabetta Svaluto Moreolo per la sempre sorprendente casa editrice Iperborea (pagg. 511, euro 19,50), è stato presentato al Salone del Libro 2018 di Torino alla presenza dell’autore.

Kader Abdolah, per ricostruire il Gran Tour alla scoperta dell’Europa dello scià di Persia nell’800, immagina che un orientalista dell’Università di Amsterdam, Seyed Jamal, ritrovi il fluviale diario di quel re che aveva i libri e la scrittura come miraggio, dal momento che la gestione del Potere assorbiva gran parte del suo tempo. E si metta a ricostruire le tappe, gli incontri, le avventure e le disavventure, le preoccupazioni e i momenti di gioia intensa, vissuti da quell’imperatore che è atteso da un destrino oscuro, ovviamente senza saperlo.

A seguirlo nel viaggio avventurose, oltre a una piccolo drappello delle 300 mogli che compongono il suo personale harem, c’è anche la sua favorita: Banu. Un tipetto tutt’altro che disposto a rassegnarsi alle rigide regole imposte dall’imam. Una donna intelligente, curiosa, lettrice onnivora e brava narratrice di storie.

In questo romanzo godibilissimo, apparentemente semplice e accattivante, ma capace di affrontare i grandi temi dell’esistere, dalla lotta spasmodica per la libertà alla realizzazione di se stessi, Kader Abdolah porta il suo scià a vedere da vicino alcuni grandi testimoni del tempo. Dallo scrittore Lev Tolstoj al padre del futuro zar comunista Stalin. E poi, Debussy, Monet, Pasteur. In una girandola di destini e storie che conferma la straordinaria felicità narrativa dello scrittore olandese venuto dall’Iran.

“Nella mia scrittura, tutto parte da una mancanza – spiega Kader Abdolah, in una pausa dedicata alle interviste nell’ambito del Salone al Lingotto -, che riguarda mio padre. Lui era sordo e muto, doveva comunicare con il mondo a gesti. E io, in un certo senso, ero il suo interprete. Ovviamente, la sua gestualità era molto semplice, io cercavo di interpretare quello che intendeva dire leggendo i movimenti delle mani. E dovevo tradurre per lui anche le parole complicate che gli altri usavano. Da questo deriva il mio stile di scrittura. Credo di essere in grado di raccontare le storie più difficili con un’apparente semplicità”.

Il suo scià è una figura accattivante, che attira simpatia, anche se alla resa dei conti è un despota.

“Mi piace molto il personaggio di questo scià, anche se mi rendo conto che è un despota. Il fatto è che lui non voleva essere re. Era solo un ragazzino impaurito con questa enorme responsabilità sulle spalle: quella di dover comandare su un regno. Ma lui voleva soltanto leggere libri e scrivere. Quando mi sono trovato a consultare i suoi diari, che occupano migliaia di pagine, mi sono rispecchiato un po’ nella sua figura. Perché ho riconosciuto in lui alcuni tratti del suo carattere”.

Lei ha subito i soprusi di Reza Pahlavi e del regime degli ayatollah: come può piacerle un uomo di potere?

“Il lettore lo sa: il mio scià è un personaggio pericoloso, però è anche un uomo che cerca la sua libertà. Proprio come Kader Abdolah: combatte contro chi gli vuole imporre le regole di corte. In fondo, lui cercava la sua indipendenza viaggiando, andando verso l’Europa, lontano dal suo Paese. Io mi sforzo di raggiungere la medesima indipendenza scrivendo nella lingua del posto dove sono arrivato esule dall’Iran, cioè l’Olanda”.

Due anime separate dal tempo e dalla condizione sociale?

“Lui ha dovuto combattere contro il Regno Unito, la Russia, che volevano impossessarsi delle ricchezze del suo Paese. Del petrolio. Io ho dovuto lottare con lo scià e con l’ayatollah Khomeini per la mia libertà”.

Nel libro, il suo scià ha 300 mogli più una: la bella, intelligente, ribelle Banu. Rispecchia il suo amore per il mondo femminile?

“Il mio amore per le donne si riflette soprattutto in Banu. In lei c’è la grande passione per i libri e per le storie, la voglia di lottare contro le regole imposte, il desiderio di essere se stessa. Porta avanti la stessa battaglia che combatto io. Ed è quello che vogliono raggiungere oggi le donne in Iran: uno spazio tutto per sé, libero dal controllo degli uomini e della religione”.

Ma è cambiato qualcosa?

“No, non è cambiato niente rispetto al passato. Certo, oggi possono essere più informate, ascoltano la radio, guardano la tv, ma non sono libere”.

L’incontro tra lo scià e Lev Tolstoj: vero o falso?

“Lo scià ha viaggiato per sei mesi in Europa. Molte cose non le ha fatto, però, e non è riuscito a visitare tutti i luoghi che avrebbe voluto. Allora io, mentre scrivevo il romanzo, ho deciso che avrei cercato di riempire i suoi buchi di desiderio. Di sicuro, lo scià aveva letto ‘Guerra e pace’ di Tolstoj, ma durante il viaggio in Russia si era fermato a una quarantina di chilometri dalla casa del grande scrittore. Quindi non l’ha mai incontrato”.

Eppure…

“Il mio compito di scrittore è quello di immaginare. Così ho fatto in modo che lo scià incontrasse Tolstoj, anche se il loro faccia a faccia è molto strano. Perché il grande scrittore ha bevuto troppo per svegliarsi dal suo sonno alcolico, per dialogare con l’ospite persiano”.

Difficile scegliere un’altra lingua per scrivere?

“Non ho mai scritto nella mia lingua. Però, quando mi sono messo a inventare libri in olandese, ho capito che tutti i condizionamenti politici, religiosi, sociali, familiari, che mi ero portato dietro dall’Iran erano spariti all’improvviso. Mi sono sentito come un astronauta quando fa la sua camminata nello spazio. Libero”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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