Ci sono scrittori che conquistano il successo con un libro, con un personaggio, con una storia. E poi continuano imperterriti per anni a riproporre sempre la stessa ricetta. Ipnotizzando i loro lettori, che trovano proprio nella monotona ripetitività della narrazione il motivo per non stancarsi mai. Per evitare la noia di situazioni sempre uguali, battute che si inseguono di romanzo in romanzo, figure appena abbozzate che non si svestono mai dei loro cliché. Topos seriali, insomma, che richiamano soprattutto lo schema delle serie televisive, di certe saghe a fumetti che si prolungano per decenni coinvolgendo, addirittura, generazioni diverse di seguaci fedelissimi.
I casi più nobili sono quelli legati a personaggi come James Bond, Sherlock Holmes, Superman, Poirot. Quelli meno nobili? Basterebbe dare un’occhiata alle classifiche dei libri più venduti in Italia per farsi una seppur fugace idea. Per fortuna, accanto ai profeti della serialità di basso profilo, ci sono scrittori che non smettono di sperimentare. Il che non significa consegnare agli editori, per forza, romanzi astrusi, cervellotici, capaci di mettere a dura prova perfino il lettore più curioso e paziente. No, vuole dire piuttosto non accontentarsi mai dei risultati raggiunti. Provare insomma, storia dopo storia, a mettere a fuoco sempre meglio la propria voce narrativa. Spostando, ogni volta, un po’ di lato l’orizzonte narrativo.
Orso Tosco è, senza dubbio, uno scrittore che non si accontenta facilmente dei risultati raggiunti. Ha scritto versi, reportage letterari, un romanzo visionario e potente come “London voodoo”. È andato a rivivere l’ossessione per la conquista di una delle cime himalayane più corteggiate e difficili da raggiungere in “Nanga Parbat L’ossessione e la montagna nuda”. E adesso, cambia traiettoria di nuovo. Pur senza mi rinunciare alla qualità, all’attenzione per la scrittura, all’originalità delle invenzioni narrative.
Sì, perché questa volta, Orso Tosco, che è nato a Ospedaletti nel 1982, si cimenta con il genere pià popolare in questo momento: la detective novel. Il tanto bistrattato giallo (che fino agli anni Novanta non si schiodava dalle pubblicazioni da edicola ferroviaria, nonostante gli esempi folgoranti di scrittori come Carlo Emilio Gadda), che in questo caso sarebbe forse meglio ribattezzare noir di provincia. E sì, perché “L’ultimo pinguino delle Langhe” (Rizzoli, pagg. 270, euro 17) è ambientato proprio in quella porzione di territorio che sta nel basso Piemonte, dove tutti sanno tutto di tutti. E coniuga le atmosfere tipiche della periferia d’Italia con quelle dei romanzacci hard boiled di scuola americana. Dove sfumano le elucubrazioni dei detective tutto testa e poco corpo. Per lasciare spazio a storie intrise di intrighi umani a sfondo sessuale, atmosfere cupe e inquietanti, violenza spesso descritta senza troppe remore perbeniste.
Al centro della storia c’è Gualtiero Bova, un commissario che tutti chiamano Pinguino. Tempo prima, a Mondovì lo hanno trasferito per punirlo, anche se sono stati bravi ad assicurargli che si tratta di una promozione. Alto, corpulento, baffuto, con le spalle leggermente curve, il fisico a forma di pera, i suoi 45 anni non se li porta tanto bene. Anche perché lo accompagna un segreto difficile da confessare: infatti, non può più fare a meno di spararsi sotto la lingua delle gocce di dietilammide-25, volgarmente chiamato acido lisergico. La droga psichedelica lo porta a formulare, dentro la propria testa, delle combinazioni di parole, delle associazioni verbali, che molto spesso sintetizzano alla perfezione l’indagine che sta conducendo. E tracciano la strada per trovare la soluzione ai casi più ingarbugliati.
Capita in questo “Ultimo Pinguino delle Langhe” che il broker svizzero Rufus Blom, durante la solita corsa all’alba tra le colline piemontesi, si imbatta nel cadavere di una ragazza assassinata. Chi l’ha uccisa le ha tracciato sulla schiena con il sangue una svastica e il cognome dell’uomo che la ritrova lì. Per caso? Non si direbbe, visto che il messaggio, neanche troppo criptico, è rivolto proprio a lui: Ma perché? E che ruolo ha, nella storia, la sua bellissima fidanzata Rose Bellamy, che lui sta per sposare? Tocca al Pinguino, che non si separa mai dalla bassottina Gilda e della sua pipa, fare luce in quell’intrico di enigmi. Senza smettere di concedersi i suoi pantagruelici e del tutto illogici pranzi (eccetto che per lui), destreggiandosi tra personaggi sospetti che sembrano usciti da un catalogo di freaks, su cui torreggia la figura oscura del Notaio.
Cinico e sensibile oltremisura, capace di stupire sempre per le sue mosse investigative del tutto imprevedibili, il Pinguino arriverà alla verità dopo aver ascoltato il cuore delle Langhe con distratta attenzione. E c’è da scommettere che questo personaggio creato da Orso Tosco non si fermerà al primo romanzo, ma godrà di lunga vita e di fortunate vicende editoriali.
<Alessandro Mezzena Lona