• 19/10/2018

Paula Fox, maschere per un massacro di famiglia

Paula Fox, maschere per un massacro di famiglia

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Ricordare che è stata la nonna di Courtney Love, forse è ininfluente. Perché Paula Fox non amava troppo quella nipote rockstar e attrice,  compagna del frontman dei Nirvana Kurt Cobain, morto suicida. Del resto, lei stessa, la scrittrice, aveva dato in adozione sua figlia Linda, la futura madre della leader delle Hole, quand’era poco più di una ragazzina. Niente di strano, visto che l’autrice di “Quello che rimane”, nata a new York nel 1923 da una coppia di sceneggiatori, non era di certo cresciuta nella sua famiglia. Dal momento che la madre Elsie De Sola Fox, di origine cubana, l’aveva affidata al reverendo Elwood Corning. Chiamato con affetto Uncle Elwood. Ci pensasse lui a traghettarla nel mondo.

Più interessante è ricordare, invece, che per troppo tempo il talento letterario di Paula Fox, morta il primo marzo del 2017, è stato dimenticato dagli stessi ambienti letterari americani. Fino a quando una superstar come Jonathan Franzen, osannato autore de “Le correzioni” e “Purity”, ha cominciato a invitare i suoi stessi lettori a riscoprire i libri della scrittrice. Sostenendo che “nella prosa di Paula Fox, le frasi sonoi piccoli miracoli di concisione e precisione, minuscoli romanzi loro stesse”.

In Italia, da molti anni ormai, c’è un editore che si ostina a credere in Paula Fox: Elido Fazi. E bisogna ringraziarlo di questo, anche perché, ormai, gran prete dei libri della scrittrice di New York sono stati tradotti: da “Quello che rimane” a “Cercando George”, da “Costa Occidentale” a “Storia di una serva” e “Il dio degli incubi”.

Uno dei più riusciti, un piccolo capolavoro di osservazione glaciale e urticante della realtà, ritorna adesso nelle librerie con la traduzione di Monica Pavani. Si intitola “Il silenzio di Laura”, lo pubblica Fazi Editore (pagg. 237, euro 16,50), si rivela una perfetta trappola narrativa in cui le affettuose finzioni, e le sotterranee contrapposizioni all’interno di una famiglia americana, diventano materia da romanzo. Crudele e narrativamente ammirevole. Un ritratto privato di come nel nucleo fondante della società si riflettano i tantissimi vizi e le molto minori virtù del mondo grande.

Laura Maldonada Clapper è una donna che ama vivere nel lusso. Ha dimenticato in fretta le sue origini ebraiche, tanto che guarda con rassegnata e cinica irritazione chi continua a ricordare lo Shoah e i campi di sterminio,. Non sopporta i poveri e le persone che non sanno tenere la rotta della propria vita con polso fermo. Alla vigilia dell’ennesimo viaggio, organizzato insieme all’ultimo marito Desmond, si ritrova nella stanza di un albergo di New York assieme a tre personaggi che hanno un ruolo importante nella sua vita. La figlia Clara Hansen, ragazza insicura e sempre pronta a defilarsi da qualunque situazione di conflitto, le ricorda il primo, burrascoso e romantico matrimonio con il fascinoso Ed. Il fratello Carlos Maldonada porta con sé tutti i ricordi eccentrici di anni che è difficile dimenticare, e un omosessualità con cui non è mai riuscito a convivere serenamente. Infine Peter Rice è l’amico dei tempi più lontani, un malinconico editor che ha sempre saputo affiancare Laura senza mai invadere troppo il territorio segreto di quei silenzi nascosto a tutti da sempre.

Potrebbe essere, la commedia che si svolge prima nella stanza d’albergo e poi un raffinato ristorante, una gioiosa, scoppiettante riunione di famiglia alla vigilia di uno splendido viaggio. Invece, Paula Fox porta sotto i riflettori della sua scrittura (colloquiale eppure “alta”, capace di dare voce ai pettegolezzi più feroci, ma anche pronta a imporre con forza i momenti di tensione, i soprassalti di malinconia, certe imbarazzanti rivelazioni, le minuscole variazioni degli equilibri psicologici) tutto l’odio e la diffidenza che i protagonisti del romanzo nascondono sotto una patina di amore e solidarietà. Che si fa, di pagina in pagina, sempre più sottile, sbiadita.

Laura, Clara, Carlos, lo sfuggente Desmond, l’inquieto Peter, che diventerà personaggio nodale nell’evolversi del drammatico faccia a faccia finale, sono il simbolo di un “milieu” borghese che si aggrappa a rituali collaudati, a finzioni spaventosamente dolorose, per cercare di sopravvivere. Perché il mondo, là fuori, sta cambiando a una velocità che è difficile seguire. E loro rischiano di ritrovarsi tra i relitti di un tempo scaduto, che non tornerà mai più.

In tutti i suoi romanzi, Paula Fox ha la forza di elevare a materia letteraria quello che, oggi, è diventato uno sterile e stupido chicchiericcio. Perché nel “Silenzio di Laura”, ma anche in “Cercando George” e in altri libri, sa raccontare con precisione chirurgica la difficoltà di comunicare, l’isolamento di chi si contorna di parenti, amici, adulatori, ma finisce per scoprirsi solo davanti alla vita. In un narrare fascinoso e perturbante, i personaggi creati dalla scrittrice newyorchese diventano maschere intercambiabili, patetiche e feroci, costrette a rifugiarsi in un formalismo sterile. In un rispetto delle regole della buona società che le rinchiude dentro gabbie sempre più strette.

E sono sempre donne, con un passato difficile da affrontare, con un amore per gli aspetti fugaci e interlocutori della vita, a conquistarsi i posti di prima fila sul palcoscenico di Paula Fox. Perché lei, per tutta la vita, non ha fatto altro che girare attorno al suo vissuto. A quell’infanzia trascorsa accanto alla zio Elwood, il rigido pastore protestante a cui i genitori l’avevano affidata. A quella figlia, Linda, che lei stessa non ha saputo e potuto crescere. Perché quando è nata, la scrittrice doveva ancora finire di fare i conti con la propria complicata adolescenza.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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