• 13/08/2022

Letizia Muratori, “Una vita da donna” tutta da inventare

Letizia Muratori, “Una vita da donna” tutta da inventare

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Era il 2018, quando Letizia Muratori compariva nelle librerie italiane con una raccolta di racconti: “Spifferi”. Nel preciso momento in cui entrava a far parte della squadra di autori di una nuova casa editrice: La nave di Teseo. Dopo aver salutato Adelphi, che l’aveva accompagnata nel suo percorso letterario a partire dal 2008, con un’altro libro di racconti: “La casa madre”. Fino ad arrivare a “Animali domestici” del 2015, passando per tappe letterarie importanti come “Il giorno dell’indipendenza”, “Sole senza nessuno”, “Come se niente fosse”.

Quattro anni dopo aver raccontato presenze arcane, misteriose coincidenze, “Spifferi “che fanno pensare a inquiete presenze, sempre senza farsi mettere le briglie dalla mania di spiegare tutto, com’è nel suo stile fin dagli esordi einaudiani con il racconto “Saro e Sara” prima, e i romanzi “Tu non c’entri” e “La vita in comune” poi, Letizia Muratori esplora adesso in “Una vita da donna” (La nave di Teseo, pagg. 188, euro 18) uno dei temi che attraversano tutto il suo percorso letterario: quello dell’identità, in senso ampio. Soprattutto se declinato al femminile, in un mondo che si aggrappa sempre più alle transitorie certezze e finge di non vedere come si spalanchi sempre più davanti ai suoi piedi il baratro dell’indefinito e dell’indefinibile.

“Una vita da donna” ruota attorno a quattro racconti, e una miriade di vite frammentate, in cui il concetto stesso di femminilità si scompone, si contraddice. Va in fibrillazione davanti al dubbio, cerca nuove vie per definirsi. Partendo proprio dal folgorante brano iniziale, che dà il titolo alla raccolta di Letizia Muratori. A parlare è una ragazza che si trova a dover gestire un problema ingombrante: “Non dico che il petto mi crebbe tutto insieme, in una notte. Magari ci mise un paio di settimane, forse pure un mese, fatto sta che, una sera, mamma entrò in bagno e la sorpresero, a mollo nella vasca, due spaventose protuberanze”. Che cosa si fa se il proprio corpo diventa, all’improvviso, un problema imbarazzante? Se quell’esplosione di femminilità, che in casa della protagonista chiamano con grande, e altrettanto vaga, precisione “il petto”, riesce a mettere in difficoltà perfino la navigata nonna? Che, fino a quel momento, “si destreggiava spavalda” tra il problema se ingoiare o meno il nocciolo delle ciliegie in presenza di altri, o se fosse un gesto cafone sfilarsi “subito il paltò quando entrava in una casa”.

A vent’anni di distanza da quel giorno, in cui la ragazza aspetta in ospedale che il chirurgo rimetta a posto le su scandalose protuberanze, dopo averle disegnato sul “torace con un pennarello nero le linee dei tagli da eseguire in sala operatoria”, una foto trovata per caso le fa intercettare la storia di uno dei personaggi che hanno contribuito a problematizzare la definizione di “vita da donna”. Quella Doris Wisham che a Hollywood veniva considerata la peggior regista di tutti i tempi. Capace di far impallidire perfino il catastrofico Ed Wood nella sua incrollabile determinazione a dare forma alla sua personalissima idea di cinema. E che, grazie a pellicole come “Nude on the moon”, “Bad girls go to Hell” e “Indecent desires”, non soltanto riuscì a portare fuori dal cono d’ombra dei locali per soli uomini la regina del burlesque Blaze Starr, protagonista dello sconclusionato, audacissimo per l’epoca (era il 1962) “Goes nudist”. Ma diede a Chesty Morgan, la donna dallo sproporzionate tette misurate in 183 centimetri, la possibilità di portare sul grande schermo la sua faccia tristissima e di andare vicino al sogno di sentirsi una diva.

In “Senza passato”, Letizia Muratori ripercorre la vita di un uomo che per 62 anni ha vissuto senza mai sentirsi a casa nel proprio stesso corpo. E che soltanto quando, per gli altri, il tempo sembrava ormai scaduto, decide di affrontare la transizione di sesso. Senza smettere di chiedersi, una volta lasciato alle spalle tutto il tempo trascorso, come si può affrontare il domani senza una storia definita per raccontarsi. Rendendosi conto, non senza sgomento, che “la femmina Zoe c’era da sempre, ma la trans era pur sempre una treenne”.

Una creatura destinata a non avere una passato femminile tutto suo, la Zoe di “Senza passato”, dal momento in cui ha deciso di tagliare i fili con tutti i ricordi legati a un’identità maschile. Che gli altri potrebbero continuare a considerare ambigua e sbagliata. Senza rendersi  conto che proprio lei era “la prova vivente che chiunque si riconoscesse solo a partire dai genitali, aveva torto”.

Splendide le pagine de “L’atleta del cuore” in cui si sovrappongono le sofferenze di una figlia, costretta ad assistere ai primi sintomi dello smarrimento mentale della madre, alle storie d’amore di Giovanna. Un’amica fotografa, abituata a gestire la propria vita con un passo da velocista, che si confonde di fronte all’innamoramento per una semisconosciuta americana, con cui pensa addirittura di sposarsi. Mentre ne “La pietà celeste” entra in scena Lilia, una donna a cui “è stata sottratta qualsiasi forma di identità per anni, e suo malgrado, ha vissuto in uno stato di scialba neutralità, come capita a molti malati, non solo mentali”. Una figura fragile e implacabile, che finirà per costruire nella sua testa la presenza ingombrante di un Lui che tutto spia e tutto osserva. Come un demiurgo sempre pronto a farsi gli affari degli altri e a emettere sentenze.

Convinta da sempre che le storie letterarie non nascano dal nulla, ma arrivino direttamente dalla vita, che si lascia reinventare sulla pagina per poi prendersi lentamente tutta l’estensione del palcoscenico narrativo, Letizia Muratori ha scritto un libro umanissimo e attento alle sfumature, eppure innervato da una forza esplosiva, in cui racconta l’intermittenza dell’identità, la risibile falsità delle verità rivelate, la complessa fragilità di chi non si arrende alle regole dettate da altri. Come in molti dei suoi lavori letterari, la scrittrice romana reinventa la propria vita intersecandola a quelli degli altri. In un miscuglio di verità e finzione, di menzogna e limpida autointrospezione, che rende “Una vita di donna” una delle sue opere più intense, originali e sorprendenti. In cui abbondano le domande, i dubbi,  mancano le facili risposte.

E non importa se Letizia Muratori non si adegua alla deriva di molti scrittori italiani. Se evita di ergersi a tribuno, di diventare portavoce di qualche transitorio dogma, di circumnavigare con insistenza il proprio privatissimo vissuto. Perché lei è una di quelle autrici che resteranno. Anche se le giurie dei più importanti premi letterari, chissà perché, sembrano non accorgersene.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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