• 12/12/2019

Nella Foresta di Arkadij e Boris Strugackij, dove tutto è possibile

Nella Foresta di Arkadij e Boris Strugackij, dove tutto è possibile

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Il destino di Arkadij e Boris Strugackij assomiglia, un po’, a quello di Philip K. Dick. Prima che uscisse il film di Ridley Scott “Blade runner”, infatti, lo scrittore di Chicago era venerato da una ristretta cerchia di lettori. Stessa sorte, più o meno, è toccata ai fratelli russi. Quando il regista Andrej Tarkovskij ha girato quel capolavoro  assoluto che è “Stalker”, pochissimi conoscevano il loro romanzo “Picnic sul ciglio della strada”. Ignoravano la Zona, dove tutto può accadere, ma anche la Foresta della “Chiocciola sul pendio”.

Per fortuna, il lungo oblio dei fratelli Strugackij è terminato. E se in giro per il mondo ci sono intere comunità che, in rete, commentano e provano a fornire le interpretazioni più bizzarre dei libri di Boris e Arkadij, in Italia finalmente è spuntato un editore innamorato delle loro opere: Carbonio. Così, finalmente, è possibile leggere in una versione integrale “La chiocciola sul pendio” (pagg. 267, euro 18,50), nella splendida traduzione di Daniela Liberti, di cui si è parlato all’interno del Festival Più libri più liberi, ospitato a Roma dalla Nuvola dell’Eur. E forse sul finire dell’anno prossimo, sempre grazie al suo lavoro, arriverà nelle librerie un testo mai uscito in Italia: “La città condannata”

Daniela Liberti ha studiato lingua russa alla facoltà di Magistero di Roma, con la figlia di Ettore Lo Gatto, grande slavista e autore della “Storia della letteratura russa”. Poi si è perfezionata a Mosca, ha fatto a lungo l’interprete di politici, musicisti, ballerini. Si è dedicato alla traduzione di poeti, prima di iniziare la collaborazione con la casa editrice Carbonio. Dopo “Invidia”, il capolavoro di Jurij Oleša (pagg.187, euro 14,50), che è stato anche uno dei punti di riferimento letterari di Arkadij e Boris Strugackij, si è dedicata alla versione italiana della prima parte di “Danilov, il violista” (pagg. 458, euro 17,50) di Vladimir Orlov, che racconta la storia di un personaggio mezzo demone e mezzo uomo.

Come in “Picnic sul ciglio della strada”, anche “La chiocciola sul pendio” ruota attorno a un luogo magico e misterioso. Un intrico di alberi secolari, nuove proliferazioni silvestri, piante che forse hanno subito una mutazione genetica e sono cresciute a dismisura, sotto la direzione di un Direttorato per gli Affari della foresta. Organismo ridondante e attivissimo. Ultimo avamposto di un mondo allo sfacelo, circondato da creature mitiche e fantastiche, che è costellato da immense paludi, creature fantastiche e inquietanti, relitti di un progresso scellerato che ha seminato soltanto macerie e carcasse di oggetti ormai inutilizzabili. E che proietta proprio sulla Foresta le sue ultime chance.

Come in tutti i libri dei fratelli Strugackij, la Foresta è il simbolo di una realtà inafferrabile. Forse il sogno di un mondo migliore. La possibilità di una fuga pazza da una società che esercita sugli uomini un controllo asfissiante, pur senza riuscire a costruire una modello di vita che si possa dire davvero progredito.

“La ‘Chiocciola sul pendio’ era già uscita in Italia nella collana di Urania – spiega Daniela Liberti -. Io ho visionato quella traduzione e mi sono resa conto che il romanzo originale è stato tagliato abbondantemente. Tanto da rendere incomprensibile, in alcuni punti, il testo stesso. Per esempio, c’è un passaggio in cui si parla di arance, mentre nella versione inglese ,su cui si basava quella italiana, salta fuori un melone. Che in Russia non esiste”.

È dovuta ripartire da zero?

“Certo. Ho preso il testo russo e mi sono messa a tradurre, come se non avessi letto niente. Arkadij e Boris Strugackij avevano un metodo di lavoro tutto loro. Uno viveva a Mosca, l’altro a Leningrado. Quindi, ognuno andava avanti con il proprio lavoro, scrivendo un capitolo a testa. Poi si incontravano, come raccontano nei diari, e rimettevano a posto il testo. Creavano una polifonia di voci davvero straordinario. Il loro stile tende a ripetere sempre le stesse parole. Quindi, in italiano, bisogna usare un bel po’ di sinonimi, per non rendere la lettura troppo pesante”.

Creavano una lingua immaginaria?

“Il loro stile è abbastanza fluido. Però la critica sovietica li accusava di utilizzare una lingua troppo immaginaria. E anche una razione eccessiva di imprecazioni. Per il realismo socialista quello era un gergo da strada. Molti vocaboli li inventavano loro. Nella ‘Città condannata’ ci sono delle creature che non esistono. Come le Amiche Gloriose nella ‘Chiocciola’, che sono una sorta di amazzoni. Le rusalki, invece, arrivano dal folklore slavo. Sono degli spiriti delle acque, come le ondine, ora buone ora cattive”.

Il mondo sovietico non li amava?

“Erano lontanissimi dal mito sovietico della creazione dell’uomo nuovo. Ivan Antonovič Efremov, lo scrittore de ‘La nebulosa di Andromeda’, li accusava di inventare personaggi per niente reali. Infatti, anche nella ‘Chiocciola sul pendio’ ci sono tipi davvero strani. Il vecchio straparla, lo Zoppo indica sempre traiettorie balorde. C’era poi il problema di come tradurre i morti viventi, perché gli autori chiamano con parole prese dal linguaggio popolare. L’alternativa poteva essere quella di non morti. Ma mi sembrava più bello così”.

Una grande fatica?

“Soprattutto per il flusso di coscienza che caratterizza le parole di Kandid, l’uomo che ha perso la memoria. Lui, come Perec, fa parte del Direttorato per gli Affari della foresta, ma si esprime con un sacco di puntini di sospensione, onde improvvise di ricordi. Certo, è stato complicato tradurre il romanzo. Però, una straordinaria avventura”.

I due fratelli giocavano molto con le citazioni?

“Ce ne sono parecchie. Quando scrivono che un personaggio si appunta qualcosa su un polsino, fanno riferimento al libro  ‘Appunti sul polsino’ di Mikhail Bulgakov. l’autore del ‘Maestro e Margherita’. C’è poi un passaggio in cui scrivono ‘gli mancava la terra sotto i piedi’. Anche lì, citano una famosa poesia di Osip Mandel’štam, l’Epigramma a Stalin, che dice proprio ‘Non ci sentiamo il paese sotto i piedi, a dieci passi di distanza non si sentono le voci’. E che gli costò il Gulag, dove poi morì il 27 dicembre del 1938, anche perché soffriva di miocardite. Chi non amava gli Strugackij, ovviamente, rimproverava loro di giocare con citazioni che la gente non riusciva a cogliere”.

Una satira molto sofisticata del Potere?

“Ci sono tantissime citazioni dissacranti dei discorsi di Stalin, delle sue direttive. Ma sempre con uno stile e una raffinatezza letteraria notevoli. Sembra di leggere Franz Kafka, ma anche Jonathan Swift o Nikolaj Gogol’. La Foresta della ‘Chiocciola’ ricorda la Zona di ‘Picnic sul ciglio della strada’, che poi ha ispirato Andrej Tarkovskij a girare il suo ‘Stalker’. Sono luoghi dell’utopia, dove tutto potrebbe essere più bello. Ma che, magari, non si raggiungerà mai”.

I due fratelli scrittori erano emarginati nell’Urss?

“Loro facevano parte dell’Unione degli Scrittori, in realtà. Andavano anche agli incontri nelle Case dell’attività creativa. Si salvavano perché scrivevano storie non esplicite. Non alludevano mai direttamente all’Unione Sovietica. Certo, non si sono mai allineati al realismo socialista. Però riuscivano a non entrare mai in rotta di collisione con l’apparato comunista. Quando è arrivata la perestrojka, poi, sono usciti dal cassetto anche i libri mai pubblicati come ‘La città condannata’, che non girava nemmeno in forma di samizdat”.

Erano autori con altri sogni, mai realizzati?

“Boris voleva fare il fisico. Ma come ebreo non era mai stato accettato all’università. Così, si era dedicato all’astronomia. Lavorando all’Osservatorio di Pulkovo, sulle colline attorno a San Pietroburgo, dal 1955 al 1964. Arkadij, invece, ha voluto studiare letteratura giapponese. Infatti, nei loro libri ci sono parecchi riferimenti all’Oriente. Come, per esempio, quella di Perec della ‘Chiocciola’ che dice di avere tradotto ‘Le note del guanciale’, famoso testo nipponico dell’anno Mille”.

Non venivano da una famiglia di umili origini?

“No, i genitori facevano parte dell’intellighenzia. Avevano in casa una biblioteca straordinaria. Quindi, da ragazzi, avevano letto Jules Verne, H.G. Wells, nelle traduzioni russe firmate da Bulgakov e Evgenij Zamjatin, autore del capolavoro ‘Noi’. Conoscevano anche Robert Louis Stevenson e Ray Bradbury, testi non facili da reperire nell’Urss”.

“La chiocciola sul pendio”: un romanzo modernissimo?

“Ogni volta che lo leggo trovo sempre nuove chiavi di interpretazione. Perché, oggi, potremmo interpretarlo come un messaggio apocalittico. Un monito simile a quello di Greta Thunberg. Arkadij e Boris Strugackij dicono: attenti, perché se finisce la Foresta sparisce anche il nostro mondo. Non sembra una riflessione perfetta per l’oggi? Sono davvero felice di averlo riproposto nella sua versione integrale”.

<Alessandro Mezzena Lona<

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