• 08/06/2020

Daniele Garbuglia, “Fare fuoco” tra ideali sbagliati e segreti tenebrosi

Daniele Garbuglia, “Fare fuoco” tra ideali sbagliati e segreti tenebrosi

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Non abbiamo mai fatto i conti con gli anni di piombo. Perché la storia della lotta armata, la nascita delle cellule che miravano al cuore dello Stato, gli ideali e le illusioni di chi ha impugnato le armi credendo nell’avvento di un’Italia senza più sfruttati e sfruttatori, la violenza e il troppo sangue che ha macchiato quel progetto, restano ancora oggi murati dietro un gigantesco punto interrogativo. Nessuno, in realtà, ha mai avuto l’interesse, il coraggio di parlare a viso aperto. Per raccontare i troppi enigmi che stanno dietro la nascita delle B.R., di Prima Linea, di tante altre formazioni definite semplicemente terroristiche. E annientate quando, ormai, il progetto di costruire un nuovo futuro stava naufragando in un delirio ideologico-criminale.

Eppure, ancora oggi si fa fatica a parlare di quegli anni. Anche se qualche storico e i giornalisti più coraggiosi non hanno mai smesso di rivelare le troppe, imbarazzanti incongruenze nel racconto dei sequestri del giudice Mario Sossi e di Ciro Cirillo, nella spaventosa vicenda del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro, nella liberazione del comandante della Nato nell’Europa Meridionale James Lee Dozier. Ma chi sta cercando di riaprire una finestra su quegli anni, per fare finalmente i conti con un passato ancora troppo recente e traumatico, è senza dubbio la letteratura. L’anno scorso, il 21 luglio, Arcane Storie segnalava un romanzo di Antonio Iovane pubblicato da minimum fax: “Il brigatista” (leggi “Antonio Iovane, il sogno (armato) della rivoluzione” in questo blog). Da poco è uscito un altro libro, diverso ma ugualmente coraggioso e interessante. Lo firma Daniele Garbuglia, si intitola “Fare fuoco”, è pubblicato da SEM Editrice Milanese (pagg. 187, euro 16).

Daniele Garbuglia, nato a Recanati, ma che vive a Senigallia e ha già quattro romanzi pubblicati alle spalle, non nasconde al lettore il retroscena più tenebroso, sconcertante e imbarazzante di tutta la vicenda della lotta armata allo Stato. Ovvero, i legami delle formazioni comuniste “con pezzi di Stato”, i “modi e i canali per ricevere armi, soldi, informazioni”. Perché nessuno più è disposto a credere alla favoletta dei terroristi brutti e cattivi che, dopo lo strappo nel 1977 all’interno dell’area movimentista della Sinistra italiana, decide che non farà mai più un passo senza avere un fucile, una pistola, un kalashnikov a portata di mano. E che non perderà più tempo a discutere, ma farà fuoco per spazzare via la politica marcia, il stisema capitalista che soffoca sempre più i lavoratori. E gli stessi operai, i sindacalisti che, per una promozione e un salario migliore, si affrettano a vendere i loro compagni di lavoro.

“Fare fuoco” sposta l’inquadratura all’interno di una cellula della lotta armata. E da lì, Daniele Garbuglia racconta la nascita di un’illusione. Quella di Orlando, un ragazzo che si trova proiettato in una grande città del Nord. Abbandona le sue lotte in un paese della costa adriatica. Per convincersi che sta nella pura azione, nel colpire chi non ha più nessuno scrupolo, nel lanciare segnali pesanti ai traditori della classe operaia, la via giusta per realizzare il sogno di cambiare l’Italia.

Orlando se ne va dal paese senza nemmeno avvisare i genitori. Senza dire che cosa ne farà della sua vita. E si ritrova subito in prima linea. Con il Rosso, un compagno esperto, quello designato a guidare la cellula. Un ragazzone che pesa più di cento chili, “ha una risata grassa e rumorosa” e arriva dal Sud. E Anita, una ragazza che proviene da un paesino non lontano dalla grande città, anche se “sembra già montagna”. All’apparenza è molto sicura di sé e pronta a farsi beffe delle convenzioni. Tanto da girare mezza nuda per casa, senza curarsi troppo dei due uomini che le lanciano occhiate inquiete. “Non mette lo smalto né il rossetto, non è il tipo”. E ha i capelli “neri, corti, così disordinati che dà l’impressione di averli appena tagliati da sola senza uno specchio”. In realtà, dietro quella maschera di ferro c’è una donna che potrebbe innamorarsi. E che non sempre concorda con le scelte della cellula.

In “Fare fuoco”, Daniele Garbuglia decide di raccontare la microstoria di tre manovali della lotta armata. Chiusi dentro un appartamento, isolati dal mondo, senza possibilità di prendere contatto con i responsabili della loro colonna, ma convinti a eseguire ordini precisi sulle azioni da svolgere. La prima volta gambizzano un giornalista, l’obiettivo che è stato assegnato loro. Per Orlando inizia da lì la trafila degli agguati sanguinosi. E lui a dover sparare, anche se il piano prevedeva tutt’altro. Ma la pistola del Rosso si inceppa. E farà fuoco anche la seconda volta, contro un capocantiere. Continuando a vomitare ogni mattina, prima di prepararsi a uscire per colpire l’obiettivo stabilito.

C’è qualcosa che non torna, in quel piccolo nucleo di combattenti armati. E sarà al terzo agguato che le incongruenze che Orlando continua a notare, disinnescandole poi dentro di sé per quella illimitata fiducia concessa al Rosso, deflagreranno come una bomba a scoppio ritardato. Nel corso del terzo agguato la pistola del massiccio compagno si incepperà di nuovo. E lui e Anita, per non far naufragare l’azione, sbaglieranno a sparare in maniera troppo frettolosa.

Costruito seguendo la struttura di un film immaginario, dove ai campi lunghi, alle inquadrature d’insieme, si alternano all’improvviso strettissime e angoscianti soggettive, “Fare fuoco” racconta con ritmo serrato, grande attenzione per i dettagli, gli stati d’animo, i pensieri difficili da rivelare agli altri, le giornate claustrofobiche e alienanti, i molti dubbi e le poche certezze, di chi aveva fatto della violenza il proprio credo. Illudendosi che, prima o poi, la massa sarebbe stata capace di riconosciuto in quelle azioni criminali i segnali giusti per dare il via a un’insurrezione. A una rivoluzione.

E quando Orlando scoprirà che non c’è nessuna rivoluzione armata, alle loro spalle, e chi verrà a cercarli li tratterà da criminali, sparandogli contro “come a delle bestie”, sarà troppo tardi. Perché i confini angusti di quella sanguinosa utopia, raccontata da Daniele Garbuglia, si stringeranno fino a strozzare le loro vite. Come un nodo scorsoio. A quel punto, non ci sarà più tempo per capire che davanti alla feroce vendetta dello Stato si troveranno drammaticamente soli. Senza più coperture né paraventi ideologici. Ognuno murato vivo, o ancora meglio morto, dietro una condanna inappellabile.

<Alessandro Mezzena Lona<

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