• 01/12/2023

Franck Thilliez, quei “Labirinti” che sarebbero piaciuti a Hitchcock

Franck Thilliez, quei “Labirinti” che sarebbero piaciuti a Hitchcock

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Un evento, un gesto, un ricordo familiare che è stato rimosso e che, proprio per questo, ci fa paura. Così, in sintesi, il dottor Sigmund Freud definiva il concetto di perturbante nel suo saggio del 1919 “Das Unheimliche”. Un’idea che Alfred Hitchcock, il grande regista londinese trapiantato a Hollywood, aveva fatto sua molto prima e molto meglio di tanti altri. Perché le intuizioni tratte da chi studiava i contorti meccanismi della mente umana, secondo il grande Hitch, venivano in soccorso a sceneggiatori e cineasti quando dovevano inventare, scrivere e, poi, trasformare in immagini storie dal fascino inquieto. Basterebbe ricordare alcuni autentici capolavori psicologico-psicanalitici come “Vertigo-La donna che visse due volte”, ma anche “Marnie”, “Io ti salverò” e quel gioiello oscuro creato per esplorare i labirinti di Norman Bates che è “Psycho”.

Sul finire degli anni Novanta, Salvatore Cesario si spinse più in là di tutti. Pubblicò, infatti, con l’editore Franco Angeli un saggio intitolato: “La psicoanalisi e Hitchcock. Che cosa la psicoanalisi può imparare da Hitchcock” in cui rovesciava la prospettiva classica seguita, fino ad allora, da altri illustri esegeti del cinema hitchockiano. Perché lui, in pratica, andava a sottolineare gli aspetti del cinema che avevano fatto tesoro dell’insegnamento di Freud, e dei suoi allievi, spingendosi più in là. Arrivando, addirittura, a suggerire nuove ipotesi di studio della mente umana e di scandaglio del subconscio.

Il grande Hitchcock, purtroppo, se n’è andato molto tempo fa: il 29 aprile del 1980, a 81 anni. Ma oggi, se fosse vivo, finirebbe per innamorarsi di sicuro delle storie di un ingegnere informatico nato ad Annecy, che sta pubblicando ormai da quasi vent’anni romanzi di grande fascino. Si chiama Franck Thilliez, ha debuttato nel 2004 con “Train d’enfer pour Ange rouge”, si è aggiudicato il Prix des lecteurs Quais du Polar e il Prix Sncf du Polar, vende milioni di copie dei suoi libri. Ma, soprattutto, ha regalato ai lettori (e perché no, anche ai critici che non trascurano la cosiddetta letteratura di genere) autentici gioielli come “Il manoscritto” e “Puzzle”, pubblicati in Italia da Fazi Editore.

Ma il romanzo. di Franck Thilliez (attenzione alla parola che utilizziamo: non noir, giallo, thriller o qualcosa d’altro, bensì romanzo senza aggettivazioni di sorta) che avrebbe inchiodato alla poltrona sir Alfred Hitchcock è, senza dubbio l’ultimo tradotto da Federica Angelini, e pubblicato nella collana Darkside da Fazi Editore (pagg.335, euro 19). Si intitola “Labirinti”, mette in scena due personaggi dai nomi indimenticabili, per i rimandi a uomini famosi: la giovane poliziotta Camille Nijisinski, che ricorda il grande Vaclav Fomič Nijisinski, divo dei balletti russi, quello a cui Franco Battiato in “Prospettiva Nevski” attribuiva una “grazia innaturale”, e lo psichiatra Fibonacci, che riporta alla memoria Leonardo Pisano detto Fibonacci, capace di rivoluzionare e rilanciare lo studio della matematica dopo un lungo periodo di decadenza.

Fibonacci deve guidare la giovane poliziotta nei meandri della mente di una donna. Una sua paziente trovata priva di sensi in un bosco accanto a un cadavere. Prima si attivare il meccanismo che Freud descriveva così bene, cioè quello di cancellare i ricordi sgradevoli del passato ed entrare in una sorta di smarrimento profondo di fronte al divenire della propria vita, la donna era riuscita a condividere con il medico la complessa trama che ha caratterizzato gli avvenimenti recenti della sua vita. Una storia in cui, sul palcoscenico della narrazione, si trovano proiettate cinque figure femminili: quelle di una psichiatra che va a vivere in un posto isolatissimo e non contaminato da onde elettromagnetiche; di una giornalista coinvolta nella complessa ricerca del regista di un misterioso video; di una ragazza rapita da un artista che affascina il suo pubblico con storie estreme; di una scrittrice che basa i suoi romanzi su tenebrose premonizioni destinate quasi sempre ad avverarsi. La quinta? Sarà quella che fornirà la chiave per rivedere la luce in questo labirinto.

Convinto che lo scrittore abbia il compito di giocare con i suoi lettori come il gatto con un topo (“Credo sia naturale avere un rapporto un po’ conflittuale con i lettori: in fondo, io cerco di ingannarli con le mie storie, mentre loro provano a scardinare il meccanismo narrativo cercando di capire chi è il colpevole o trovando la soluzione dell’enigma”, dichiara quando lo intervistano), Franck Thilliez costruisce in “Labirinti” una macchina narrativa dalla struttura complessa, dall’andamento adrenalinico. Muove i suoi personaggi sulla scacchiera delle pagine come un giocatore sempre in grado di tirare fuori dalla sua ridondante fantasia il colpo dello scacco matto. Ma che, al contrario, si trattiene, tentenna, propone mosse diversive. Per costringere chi legge a entrare sempre più in profondità nel suo labirinto e smarrire anche quelle poche coordinate su cui pensava di poter contare.

Costruendo i suoi romanzi con un lingua dalla precisione chirurgica, mai sciatta, efficace e capace sempre di tenere la storia tesa come una corda di violino, Franck Thilliez assembla i suoi “Labirinti” narrativi intrecciando in continuazione fili apparentemente diversi. Che però, alla resa dei conti, finiranno per formare un enorme arazzo dal disegno nitido e inquieto. Mai lo scrittore francesi si diverte a ingannare il lettore con i classici mezzucci narrativi che molti altri autori si rassegnano a utilizzare. No, lui procede a velocità folle verso la meta. E non perde di vista, nemmeno per un istante, il filo dell’orizzonte dove si nasconde la soluzione dei tanti enigmi messi in campo.

Ecco, dicevamo prima che “Labirinti”, come altre opere di Franck Thilliez, dev’essere definito romanzo e non semplicemente thriller, noir, giallo. Perché lo scrittore di Annecy, come già faceva Alfred Hitchcock, non si accontenta di stupire con una trama ad effetto. Ma costruisce un mondo parallelo fatto di personaggi che hanno una loro tridimensionale credibilità. Li fa muovere in un contesto sociale che mette in luce la schizofrenia del vivere la modernità. E chissà che prima o poi, anche il suo lavoro letterario non venga riconosciuto dalla giuria di un premio letterario importante come il Goncourt. Che, del resto, nel 2013 aveva già accolto a braccia aperte un scrittore “di genere” come Pierre Lemaitre, assegnando la vittoria al suo “Ci rivediamo lassù”. Ottimo esempio di come si possa raccontare, in maniera del tutto originale, l’inutile carneficina come la Grande Guerra inoculando nella trama il brivido del perturbante.

<Alessandro Mezzena Lona

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