• 12/05/2024

Charlotte Gneuss: “La mia DDR, così ambigua e piena di storie”

Charlotte Gneuss: “La mia DDR, così ambigua e piena di storie”

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Si può raccontare un mondo claustrofobico, come la Germania comunista, senza averla vista da vicino. Certo che si può. Anzi, la prospettiova narrativa può diventare ancora più lucida, problematica, ambigua. Se chi scrive abbandona per un attimo la scontata, manichea, traiettoria del contrapporsi di Bene e Male, di luce e ombra, di verità e menzogna. E prova a spiare oltre il velo della realtà. Per mettere a fuoco quegli aspetti più sfuggenti, fragili, contraddittori. di un tempo e di un luogo consegnati ormai alla Storia.

Charlotte Gneuss ha fatto di questo sguardo problematico su un mondo a lei così vicino, eppure altrettanto lontano, il magma narrativo del suo romanzo di debutto. Nata tredici anni dopo la caduta del Muro di Berlino, cresciuta tra i racconti, ma anche i lunghi silenzi, dei suoi genitori che arrivavano nella Germania Ovest proprio dalla DDR, è andata a costruire una prospettiva del tutto inedito per raccontare quegli anni. Filtrando la storia attraverso gli occhi di un ragazza sedicenne e dei suoi amici. È nato così “I confidenti”, che Silvia Albesano ha tradotto con grande cura per la casa editrice Iperborea (pagg. 220, euro 17).

È l’estate del 1976 quando prende forma la storia dei “Confidenti”. Un momento significativo per la DDR: visto che proprio in quel periodo, il poeta e musicista Wolf Biermann venne privato della cittadinanza, e costretto a non rientrare in patria, dopo aver criticato la Germania comunista durante un concerto tenuto all’Ovest. In un piccolo sobborgo di Dresda, la sedicenne Karin si divide tra il primo adolescenziale amore per Paul, il legame d’amicizia fortissimo con Marie, il sogno di diventare la prima donna a mettere piede sulla Luna, il grande affetto per la sorellina nata da poco,  l’ansia sottile dettata dalla paura che il rapporto tra i suoi genitori sia ormai irrimediabilmente compromesso.

Quando Paul la invita a seguirlo in un viaggio avventuroso verso la Cecoslovacchia, Karin non capisce che lui, in realtà, sta scappando verso la libertà. Ma deve fare molto presto i conti con il significato reale di quell’andare incontro all’avventura. Perché da quel momento, lei e l’amico Rühle vengono presi di mira dalla Styasi, la polizia politica che tutto controlla. È l’agente Wickwalz a insinuarsi nelle loro vite. A procedere con domande ambigue, apparentemente innocue. A corteggiarli e accompagnare le loro giornate con striscianti minacce. A pretendere che accettino di collaborare, di rivelare tutto quello che sanno sulla strana scomparsa di Paul.

Costruito da Charlotte Gneuss con una prosa che mitraglia frasi secche una accanto all’altra, dove non ci sono mai i punti interrogativi perché le domande contengono in sé l’ambigua prospettiva dell’affermazione, o della negazione, “I confidenti” è un romanzo di debutto coraggioso e coinvolgente. Una storia delicata e dolorosa, dove il confine tra Bene e Male evapora. Dove la luce fa spazio in sé sempre all’ombra. Dove nessuno dei personaggi può dirsi mai del tutto innocente. Perché la storia attraversa il territorio di un sogno ideologico forte, come quello della Germania comunista, ormai pronto a sgretolarsi. Diviso tra l’arrogante invadenza del Potere e l’innocenza fragile dell’adolescenza

“Non ho dovuto faticare molto per costruire la storia del mio romanzo. Era già dentro di me – racconta Charlotte Gneuss, che è stata ospite del Salone del Libro di Torino -. Le prime tre frasi sono arrivate subito, così, come se qualcuno le dettasse da dentro: ‘Eravamo sedici. Maschi solo due. Thorsten e David’. La prima immagine era proprio questa: un gruppo di ragazzi dentro la classe di una scuola nella DDR. Era proprio quel momento che volevo raccontare. Il 1976 nell’ex Germania comunista”.

I suoi genitori sono cresciuti vicino a Dresda, nella DDR. È stata influenzata dai loro racconti?

“Senza dubbio. Penso che senza di loro non avrei mai pensato a questa storia. È chiaro che il mondo della Germania comunista ha messo radici dentro di me. Soprattutto grazie ai loro racconti”.

Raccontare un mondo così complesso con gli occhi di un gruppo di adolescenti: è una prospettiva molto naïf?

“Volevo proprio questo. Perché credo che una prospettiva naïf sulle cose possa raccontare la realtà in maniera più autentica. Perché se gli occhi che guardano il mondo sono troppo educati, strutturati, finisce che filtrano la visione attraverso il loro pensiero. Credo funzioni così in tutte le arti. Penso alla pittura, ad esempio”.

Ogni personaggio nasconde dentro di sé un doppio fondo, una personalità ambigua?

“Ognuno di noi si rivela, alla fine, ambiguo. Perché cambiamo faccia e atteggiamento a seconda delle situazioni. Ci adattiamo. La letteratura è lo strumento ideale per raccontare questo convivere di multiformi modi di essere. Capita a tutti di incontrare una persona, trovarla adorabile e poi scoprire che gli amici la detestano. Quando dovevo costruire il personaggio di Wickwalz, l’agente della Stasi, avrei potuto tratteggiarlo come un malvagio, prepotente. Io ci tenevo, invece, a mostrare la sua fragilità, le attenzioni e le premure che riserva a Karin e agli altri personaggi che deve tenere sotto controllo. Solo così si riesce a dare forma all’ambigua, sottile e tenebrosa forza di chi esercita il potere sugli altri”.

Spesso il Potere preferisce sedurre che colpire duro?

“Nella DDR era proprio così. Chi esercitava il potere preferiva fare pressione psicologica sulle persone, piuttosto che usare la violenza. Poi, non dobbiamo mai dimenticare che a esercitare il controllo sui cittadini erano sempre delle persone, non delle entità astratte. Ed è logica che nei rapporti ravvicinati tra chi comanda e chi dovrebbe ubbidire si alternino in continuazione momenti quasi di seduzione con altri, in cui si arriva allo scontro”.

Anche Wickwalz, in fondo, è una pedina?

“Certo. Perché lui è quello che esercita il potere. Che può controllare, tormentare, minacciare. Però Karin, e anche Rühle, hanno su di lui un grande vantaggio: quello di conoscere i segreti della fuga di Paul dalla Germania comunista. Quindi, tra di loro, i rapporti sono quasi sempre regolati da un ambiguo equilibrio”.

Il controllore è solo un piccolo ingranaggio, nemmeno troppo limpido?

“Ho voluto gettare delle ombre sullo stesso Wickwalz. Per esempio, quando prende di mura Rühle, su di lui cominciano a fioccare i pettegolezzi. Si sospetta che possa essere omosessuale, anche se Karin non ci crede e lo vede, piuttosto, come un tranquillo padre di famiglia”.

Il caso più clamoroso, nella DDR, è stato il passaggio del poeta e musicista Wolf Biermann in Occidente?

“Non fu una vera e propria fuga. Wolf Biermann venne invitato a tenere un concerto nella Germania Ovest. Lui ci andò, espresse alcune critiche nei confronti del suo Paese e dalla DDR arrivò il divieto di ritornare a casa. Fu un grande shock, un’enorme delusione, per tutti quelli che credevano nel sistema comunista. Anche i più idealisti, che non volevano smettere di illudersi, persero la speranza”.

Perché ha voluto dare a Karin il soprannome di Virgola?

“Trovo che Virgola abbia un significato simbolico molto forte. La virgola, infatti, è un segno di interpunzione che riveste la funzione di pausa tra due parole, tra due parti della frase. Lei non è solo un passaggio tra il prima e il dopo: tra la DDR dalla fede comunista granitica e la corsa verso la dissoluzione, verso il crollo del Muro di Berlino. Lei incarna anche il punto di svolta tra Wickwalz e Paul, tra chi si ostina a servire il Potere e chi invece scappa verso la libertà”.

Come hanno accolto “I confidenti” in Germania?

“Da una parte è stato accolto molto bene da chi non ha vissuto io momento storico della DDR. Da chi, insomma, è nato quando la Germania comunista non c’era già più e prova un forte desiderio di approfondire quel periodo. Anche perché molti testimoni sono rimasti a lungo in silenzio. Dall’altra, si è manifestato il fastidio di chi, invece, c’era in quegli anni. E ha provato una sorta di gelosia per il fatto che qualcuno raccontasse una parte del loro passato senza averlo visto da vicino. Come se solo loro fossero autorizzati a dare voce alla loro storia. In più, c’è stato un episodio abbastanza sgradevole”.,

Racconti.

“Lo scrittore Ingo Schulze, che è nato proprio a Dresda, ha fatto avere alla giuria del Deutscher Buchpreis un elenco di imprecisioni che sarebbero contenute nel mio romanzo. ‘I confidenti’ era stato ammesso nella lista dei candidati al Premio. Dopo questo intervento non è riuscito ad entrare nella short list che avrebbe, poi, decretato il vincitore. Secondo me è stato un atto grave per danneggiare una donna, una scrittrice, per di più esordiente. A cui è stato detto, in pratica, che non avrebbe dovuto occuparsi di storie non vissute in prima persona”.

<Alessandro Mezzena Lona

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