• 24/08/2018

Judith Hermann, uno stalker nella casa di bambole

Judith Hermann, uno stalker nella casa di bambole

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Era ancora una debuttante, Judith Hermann, quando riuscì a conquistare la benedizione ufficiale in campo letterario. Non da un critico qualunque, ma dal temutissimo Marcel Reich Ranicki. L’intellettuale di origini ebreo polacche che si era rifiutato di recensire i libri di Ernst Jünger, aveva definito malato di mente lo storico negazionista Ernest Nolte e mandato a quel paese gli organizzatori del Premio della Tv tedesca alla carriera, sostenendo che il livello dei programmi aveva toccato un degrado inaudito. Ecco, proprio questo signore, morto nel 2013 a Francoforte sul Meno all’età di 93 anni, dopo aver letto la raccolta di racconti dell’autrice di Berlino “Casa estiva, più tardi”, si era lasciato andare a un giudizio che valeva una consacrazione: “In Germania, è nata una grande scrittrice”.

Da allora, sono passati parecchi anni. Oggi, Judith Hermann è una scrittrice affermata di 48 anni che ha pubblicato, anche in traduzione italiana, altre splendide raccolte di racconti come “Nient’altro che fantasmi” e “Alice”, convincendo molti altri critici e moltissimi lettori che la qualità delle sue storie non sfigura davanti a quelle di autentici maestri come Raymond Carver e John Cheever.

Ma chi, ancora oggi, pensa che l’autore di racconti finisca per presentarsi con l’affanno all’appuntamento con il romanzo, deve recuperare assolutamente “L’amore all’inizio”. Uscito in Germania nel 2014, tradotto adesso dalla bravissima Teresa Ciuffoletti per L’Orma (pagg. 203, euro 16), la casa editrice romana che sta facendo un grandissimo lavoro di scoperta e riscoperta di autori europei meritevoli davvero di essere letti, farà cambiare idea in fretta anche ai critici più severi. Perché Judith Hermann, che ha vinto premi importanti come il Kleist Preis e il Friedrich Hölderlin Preis, costruisce una macchina narrativa perfetta. Dove la lingua scarna, il narrare pacato e mai sopra le righe, la descrizione dei personaggi, degli interni, degli stati d’animo, fatti con una precisione maniacale e con una gelida imparzialità, costringe il lettore a non mollare la storia fino a quando non è definita. Finita. Perché riserva sorprese in continuazione. Pur rifiutando la tecnica, collaudatissima nei thriller e nei noir, del roboante colpo di scena.

Quella di Stella, la protagonista de “L’amore all’inizio”, è una vita del tutto uguale a tante altre. Nella casa con giardino di un tranquillo quartiere residenziale, posto ai margini di una città del Nord Europa, abita insieme alla sua bambina e al marito. In realtà, Jason, che ha incontrato a bordo di un aereo e che ha sposato perché lui le comunicava una sorta di distratta tranquillità e partecipazione alla sua esagerata emotività, è spesso lontano per seguire il suo lavoro di piccolo costruttore di abitazioni altrui.

E, puntualmente, non è mai presente quando, senza nessun preavviso, alla porta di quella casa da bambole, rarefatta, accogliente, con la grande vetrata che permette di vedere tutto quello che avviene all’interno, si presenta un uomo. Uno sconosciuto.

Solo più in là, Stella scoprirà che si chiama Mister Pfister. Che abita abbastanza vicino alla sua casa, che soffre terribilmente la solitudine e che sta attraversando un confuso periodo di depressione. Ma Judith Hermann racconta tutto ciò con ritmo rallentato, lasciando che siano le incursioni del misterioso uomo nella vita di Stella a contrassegnare le sue giornate. A contrappuntarle in un crescendo di angoscia, curiosità, fastidio e, perché no, di una forma di trasognato innamoramento. Come avviene in certe storie vissute di notte, quando ci si trova a palpitare per persone che fino a pochi minuti prima non sapevamo nemmeno chi fossero.

Impegnata dai lavori domestici e da un incarico di infermiera, che svolge con grande scrupolo e altrettanta insoddisfazione, la trentasettenne Stella galleggia tra la paura che Mister Pfister sia uno stalker, la curiosità di capire perché quell’uomo, con inflessibile caparbietà e puntualità, abbia scelto proprio lei per quelle silenziose, discrete eppure invasive scampanellate al cancello di casa, e la difficoltà di condividere con Jason un segreto imbarazzante. Fino a quando “L’amore all’inizio” prende una piega inaspettata, che trascinare i personaggi molto lontano dal loro perbenista, piccolo borghese, educatissimo modo di gestire le situazioni d’emergenza.

Ma il fascino del primo romanzo di Judith Hermann sta anche nel portare il lettore a farsi domande spesso imbarazzanti, forse pure sgradevoli, sulla solitudine di tante persone in una società dove, apparentemente, tutto viene tenuto sotto controllo. Sulla difficoltà di condividere i propri problemi con chi ne ha già altri da gestire, affrontare e risolvere. Ma anche sull’impossibilità dii avvicinare chi non conosci, magari di invitare una donna a bere un caffè se questo non fa parte delle regole del gioco. Di dialogare con un uomo di cui non sa niente.

È sullo schermo bianco di un mondo dove la lontananza tra i corpi si fa sempre maggiore, perché è più facile starsene al riparo dello schermo di un computer, dove il disagio ritorna a essere un problema da affrontare in silenzio, in solitudine, e non certo da condividere con gli altri, che Judith Hermann proietta questa sua storia ambigua, inquieta e perturbante. Dove nessuno è innocente. Dove la realtà, che sta al di là della porta di casa, è un’entità indecifrabile. Dove le parole spesso non spiegano. E anche chi conduce una vita all’apparenza perfettamente centrata può provare vibrazioni emotive dettate da un richiamo che arriva dalle tenebre.

Anche se, a ben guardare, quel richiamo porta con sé indecifrabili schegge di un’umana ossessione.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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