Mettere ordine nella vita della piccola ape furibonda. Dare voce ad Alda Merini, la poeta che diceva: se togli la polvere dalle ali delle farfalle, poi non volano più. E non faceva mai i lavori di casa. La donna che aveva attraversato l’inferno del manicomio, che aveva continuato ad amare la vita nonostante i cinquanta elettroshock subiti. La grande scrittrice che viveva con un tappeto di sigarette fumate, sotto i piedi, stese sul pavimento al posto dei preziosi tappeti. L’amica degli emarginati, dei rifiutati, che molti a Milano continuavano a considerare la pazza della porta accanto. Nonostante la candidatura al Premio Nobel per letteratura. Ecco, appunto, come si può raccontare una vita così drammatica, ricca e complessa in un libro solo?
Si può. Benissimo. Lo dimostra “Alda Merini l’eroina del caos” pubblicato da Cairo Editore (pagg. 157, euro 14). Lo firma Annarita Briganti, giornalista de “La Repubblica” e “Donna Moderna”, che si è fatta conoscere anche come scrittrice per i romanzi “Non dirmi come sei nata”, vincitore del Premio Comoinrosa opera prima nel 2014, “L’amore è una favola” e “Quello che non sappiamo”.
A dieci anni dalla morte di Alda Merini serviva una biografia vera. Un libro, insomma, che mettesse in ordine i fatti della sua vita. Sfatando leggende, rimpicciolendo false testimonianze, andando a scavare nei suoi testi, nelle interviste rilasciate sempre con quella disarmante, umanissima naturalezza. Andando ad ascoltare le parole, i ricordi, spesso contraddittori tra loro, degli amici del “cerchio magico”. Delle quattro figlie, allontanate dalla madre quando si pensava che una donna affetta da disturbi psichici non potesse dare loro l’affetto necessario a farle crescere bene. Ma, poi, tornate accanto a lei per rimettere insieme i frammenti di un rapporto difficile, di sicuro, eppure nutrito da grande amore e rispetto reciproco.
Di Alda Merini, il libro di Annarita Briganti traccia un ritratto nitido e affascinante. Racconta la storia di una donna che non ha mai rinunciato a essere libera. Che pagato un prezzo altissimo per questo. Trovandosi ai margini, anche quando fior di scrittori e intellettuali come Giorgio Manganelli, Maria Corti, Pier Paolo Pasolini, giuravano sulla straordinaria originalità della sua poesia. E lei, per non farsi travolgere dalla delusione di sentirsi sempre ai margini della grande letteratura, diceva: “Non cercate di prendere i poeti, perché vi scapperanno tra le dita”.
Una scrittrice, quella che Annarita Briganti racconta con passione e grande sensibilità in “Alda Merini eroina del caos”, che ha saputo guardare fino in fondo all’abisso della disperazione. Che è uscita dai gironi infernali del Manicomio Paolo Pini di Milano definendo l’elettroshock “uno scandalo contro la poesia”. Che ha mai avuto paura a dialogare, fino alla fine dei suoi giorni, con il mistero di vivere. Raggiungendo livelli altissimi di spiritualità in versi anche nelle ultime opere: il “Corpo d’amore”, il “Cantico dei Vangeli”, lo straordinario “Canto di una creatura” che racconta il vero scandalo di Francesco d’Assisi, non la storia mielosa del poverello beatificato sugli altari. Testi raccolti, insieme ad altri, nel volume “Voce di carne e d’anima”, pubblicato da Frassinelli (pagg. 503, euro 20).
“Alda Merini non l’ho scoperta in un momento preciso – spiega Annarita Briganti – che ha presentato il suo libro all’interno di Bookcity Milano 2019 -,perché in realtà l’ho sempre letta. Ovviamente, ho seguito la sua opera in maniera disordinata. Esattamente come faceva lei, poeta che ha pubblicato un centinaio di libri. Una donna estremamente generosa, che spesso regalava una poesia a chi le era simpatico. A chi le offriva semplicemente un caffè. Oppure, negli ultimi anni te la dettava, perché lei non usava più la macchina da scrivere. Molti le hanno conservate come un ricordo prezioso. Altri ne hanno fatto plaquette, libri veri e propri. Ecco, io mi sono sempre destreggiata in questo caos di pubblicazioni meriniane”.
A dieci anni dalla morte sarebbe giusto fare un po’ di ordine?
“Proprio questa è la grande sfida del decennale. Mettere ordine tra i suoi libri. Storicizzare. È quello che ho voluto fare io nel libro ‘Eroina del caos’. Per spiegare che la produzione di Alda Merini prima e dopo il manicomio è assai diversa. Ma anche la sua vita”.
Serviva una biografia?
“Sì, perché una vera biografia della poeta non c’era ancora. Intendo un libro che la racontasse con ordine, inserendo i fatti della sua vita nel contesto storico e culturale dell’Italia”.
Ma lei era la piccola ape furibonda?
“Infatti, parlare di ordine per Alda Merini sembra quasi un controsenso. Visto che lei era, appunto, l’eroina del caos. Ma trovo anche sbagliato consegnarla ai lettori con un immagine confusa. O, peggio, inventando i fatti della sua vita. E allora sono entrata nel suo cerchio magico”.
Cioè?
“Sono andata a intervistare le persone che le sono state più vicine. Gli amici più sinceri e duratura. Risultato? Ho ottenuto un ritratto multiforme, da cui escono le tante anime di Alda Merini, che spesso non coincidono tra loro. In più, il libro si conclude con una testimonianza, scritta apposta, del cardinale Gianfranco Ravasi, che le è stato molto vicino. E con una lettera inedita della poeta, scritta poco prima della sua morte, il 28 0ttobre 2009, e indirizzata dall’ospedale a Papa Benedetto XVI”.
Una figura dolorosa, che ha conosciuto il baratro del manicomio, ma anche gioiosa?
“Sua figlia Barbara, che è quella più restia a parlare, un giorno mi ha detto in un messaggio vocale: ti prego, restituiscile il suo aspetto di poeta della gioia, perché mia madre è stata anche felice. Certo, nessuno nega la sua solitudine, i traumi, l’esperienza durissima del manicomio, l’essere donna in un modo maschile e poco disposto a riconoscere il valore femminile. Però, non bisogna dimenticare che lei stessa diceva di avere attraversato l’inferno, ma che la vita le aveva insegnato anche a essere felice”.
Una poeta, che è stata donna e madre cercando di essere libera?
“Basti pensare che le sue quattro figlie le sono state tolte. Nella convinzione che non potesse essere una buona madre. Oggi, lo stesso disagio psichico andrebbe affrontato in tutt’altro modo. Non certo curato con l’elettroshock, e lei ne ha subiti una cinquantina, e nemmeno con medicinali fortissimi. Capaci solo di stordire. Eppure, con le sue figlie ha recuperato un rapporto che adesso si può sintetizzare in una parola sola: amore”.
A proposito di amore: Alda Merini non ha mai mandato in pensione il suo cuore?
“Non ha mai smesso di innamorarsi. Come non ha mai smesso di scrivere, nemmeno dopo gli elettroshock. Aveva accanto tanti uomini, che potevano essere anche solo grandi amici. Ma non si vergognava di innamorarsi di alcuni come un’adolescente. Certo, non sono mancate le delusioni. Ha visto morire due mariti. Spesso il fatto di essere donna e poeta poteva essere ingombrante per gli uomini che le erano accanto. Eppure, ha sempre creduto nei sentimenti. Anche perché senza amore che vita è?”.
Milano è stata un po’ avara con la poeta?
“Per un certo periodo, girare per Milano con Alda Merini voleva dire farsi isolare dagli altri. Poi è arrivato il momento della fama, del successo, delle apparizioni in tivù, al ‘Maurizio Costanzo Show’. E, allora, fuori dalla sua porta c’era la fila. Ambrogio Borsani, nel libro, dice testualmente che non la invitavano nemmeno ai reading di poesia. Per fortuna, adesso, il Comune di Milano le sta dimostrando tutto il suo amore. Le ha dedicato un ponte ai Navigli, la casa è stata ricostruita nello Spazio Merini, in via Magolfa. Riposa nel Cimitero Monumentale accanto a un altro grande poeta, Giovanni Raboni. Insomma, ha fatto pace con la sua città”.
<Alessandro Mezzena Lona<