Il romanzo non è mai stato una linea retta. Sono solo i lettori pigri, e gli scrittori che li assecondano, a pensare che ogni trama deva per forza andare dritta dritta dalla A a Z. Ma la storia della letteratura dimostra che non è così. Perché un racconto, lungo o breve che sia, è solo una metafora del caos che governa la vita. Che fa iniziare ogni giorno il tempo concesso a ognuno di noi senza che nessuno ci fornisca le istruzioni per l’uso. Perché un viaggio tra le pagine può avere i contorni di un teorema, dove ogni elemento deve rispondere appieno alla logica di fondo dell’enunciato. Ma può anche muoversi su traiettorie del tutto imprevedibili. Come hanno dimostrato coraggiosi giocolieri delle infinite possibilità del narrare. Da Raymond Roussel a James Joyce, da Bruno Schulz delle “Botteghe color cannella” a Aldo Palazzeschi del “Codice di Perelà”, da Mark Z. Danielewski di “Casa di foglie” a David Foster Wallace di “Infinite Jest”. Senza dimenticare Raymond Queneau, Enrique Vila Matas di “Kessel non invita alla logica” e “Un problema per Mac”, l’Antoine Volodine de “Gli animali che amiamo” o “Terminus radioso” Ognuno, ovviamente, impegnato a seguire le proprie personalissime traiettorie.
Ma c’è chi, dopo i roboanti proclami delle avanguardie sulla morte del romanzo, puntualmente sbeffeggiati da tonnellate di libri in linea con il canone tradizionale della narrativa, continua a individuare nella letteratura l’unico sguardo davvero anarchico sull’essere e sull’esistere. È il caso, ad esempio, di un autore americano. Si chiama Matthew McIntosh, è nato a Federal Way nello Stato di Washington.. Ha superato, ormai, la soglia dei quarant’anni ed è passato abbastanza inosservato in Italia con il suo romanzo d’esordio “Well” (tradotto con il titolo “Va tutto bene” da Mondadori). Ma adesso, un lettore che non si accontenti di troppe camomille di carta che affollano le nostre librerie, e di libri a dir poco pretenziosi, non potrà sfuggire al corpo a corpo con la seconda prova dello scrittore in questione.
Più che di prova faremmo meglio a parlare di sfida. E non soltanto per il fatto che “ilMistero.doc” (euro 39), tradotto da Luca Fusari per il Saggiatore, casa editrice che sta facendo davvero un ottimo lavoro nella scelta dei testi di narrativa e di saggistica, conta oltre 1570 pagine. Ma perché chi si appresta ad affrontare questo romanzo fluviale, disorientante e polimorfo, deve abbandonare dall’inizio ogni abitudine affinata in anni di confronto con i testi letterari. Matthew McIntosh lo costringerà, infatti, a seguirlo nei meandri di un testo che Alan Moore, creatore di graphic novel di culto come “Watchmen” e “V per Vendetta”, ma anche di un monumentale romanzo come “Jerusalem” (tradotto da Massimo Gardella per Rizzoli Lizard nel 2017), ha definito “infestato, allo stesso modo in cui la vita contemporanea è infestata da fotografie e e-mail dimenticate, lacerti di dialoghi e immagini di film”. E che lo ha inquadrato nel lusinghiero contesto di “un esorcismo selvaggio e un’accecante celebrazione del romanzo e del cuore umano, ciascuno con le sue infinite possibilità”.
Per celebrare il romanzo, Matthew McIntosh che cosa fa? Va ben al di là dello strepitoso “Giro del giorno in ottanta mondi”, in cui Julio Cortázar capovolgeva il capolavoro di Jules Verne costruendo “un libro pazzo, fuori di testa, fatto di ritagli e avanzi, come un grande collage”. Lo scrittore americano fa esplodere il suo testo fin dalle prime pagine. Mettendo in scena un personaggio che si risveglia in una casa sconosciuta. Deve fare i conti con una donna, molto bella, che lo chiama “amore”, lo tratta come se fosse il suo compagno da un bel po’. Gli parla di fatti e persone di cui lui non sa niente. Ma, soprattutto, lo sprona a terminare il romanzo a cui sta lavorando da molto tempo. E che dovrebbe essere ormai terminato.
Il problema è che quando lui accende il computer, e apre il documento intitolato “ilMistero.doc”, si rende conto che tutto il testo è contenuto in una cartella. E non dice assolutamente niente di significativo per ricostruire il presunto capolavoro che lui dovrebbe avere quasi ultimato. “Era una di quelle trame in cui ti svegli e non sai più chi sei. Ti sembra di averne passate di tutti i colori. Ti fa male la testa. Ti fanno male le costole. Ti fanno male le braccia. Le mani, le dita. Ti fa male tutto. Sai di aver fatto – o subito – qualcosa, ma ti sfugge completamente che cosa. Sei sveglio. ed è come se non fossi ancora del tutto uscito da un sogno. Be’, questo sogno si stacca, si spegne, svanisce, ma al suo posto non arriva niente. Soltanto i dolori”.
C’è un unico modo, nella vita, per provare a capire. Se pensi di avere smarrito la rotta. Bisogna immergersi nei fatti, interrogare le persone, accumulare testimonianze. Provare a rimettere in moto la macchina dei ricordi, assemblando frammenti di immagini, spezzoni di scene da film, fotografie che all’apparenza non dicono nulla, frammenti di conversazioni che potrebbero riportare il protagonista de “ilMistero.doc” sulla retta via. Ma che, al contrario, finiscono soltanto per tirarlo dentro un gorgo di altre vite, altre storie, altri rebus.
Ma, forse, non è la strada giusta quella di provare a trovare una logica in questo magma ribollente di destini e di storie. Al contrario, è meglio lasciarsi cullare dal flusso della corrente. Provare a cogliere il senso dei messaggi frammentati all’interno di un ciclopico percorso narrativo per, poi, ricucirli in un personalissimo confronto con i personaggi e le storie che “ilMistero.doc” semina con bulimica profusione.
Così, il filo di questa Babele di romanzi, di questo tsunami di suggestioni, di questo gigantesco enigma della Sfinge, dove le fotografie rendono ancora più oscura la navigazione tra le parole, si spezza e si riannoda infinite volte sotto gli occhi del lettore. E lo trascina in una corsa pazza verso la scoperta di una nuova forma di costruzione del testo. Dove nemmeno una riga può sfuggire all’attenzione, all’interpretazione, perché cela in sé continue biforcazioni del senso. Indispensabile a decrittare quello che verrà dopo.
Come nel “Giardino dei sentieri che si biforcano”, il racconto scritto nel 1941 da Jorge Luis Borges e pubblicato nel libro “Finzioni”.
Non conta ciò che si dice de “ilMistero.doc”, ma quello che il romanzo di Matthew McIntosh squaderna in una struttura narrativa del tutto anomala. Ed è lì, tra le parole, e non altrove, che sta il fascino di questo lisergico, originalissimo esempio di libertà creativa totale.
<Alessandro Mezzena Lona<