• 27/01/2021

Giovanni Montanaro, la notte in cui Venezia rischiò di sparire

Giovanni Montanaro, la notte in cui Venezia rischiò di sparire

Giovanni Montanaro, la notte in cui Venezia rischiò di sparire 512 341 alemezlo
Che Venezia, un giorno, se la riprenderà il mare è un’idea che sta lì. Confinata in un’angolo delle nostre certezze. Lo sappiamo, magari a volte ci ragioniamo sopra. Eppure non siamo mai pronti a dire che succederà domani. Anche perché, nel tempo, abbiamo costruito mille esorcismi per tranquillizzarci. Per ammettere che, d’accordo, la città costruita sull’acqua è troppo bella, troppo unica, per resistere. Per sopravvivere alle ferite che le abbiamo inferto. Da quando abbiamo permesso che si trasformasse in una Disneyland fatta di gioielli sospesi su palafitte e tesori d’arte custoditi in ogni palazzo. Ma, in fondo, chissà quando succederà. E, quindi, è meglio accantonare l’ansia. Smettere di formulare pensieri funesti.
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Ecco, appunto, meglio non formulare pensieri funesti Come quelli che riguardano la morte, diventata il grande tabù del nostro tempo. Poi, succede che una notte il mare decide di andare a riprendersi Venezia. Così, senza avvisare nessuno. Spalleggiato da un vento di scirocco che tira bordate sui palazzi alla velocità di quasi 100 chilometri orari e si fa beffe delle previsioni del tempo. Passa accanto alle paratie mobili del Mose, un progetto faraonico mai portato a termine e men che meno reso operativo, dilaga con una furia incontenibile. Fino a raggiungere 187 centimetri di altezza. Il che significa, assistere all’invasione dell’acqua salata non soltanto nelle calli e nei campielli, ma dentro le case, nei negozi e nelle biblioteche, nei musei e nelle librerie. Senza risparmiare nemmeno il simbolo per eccellenza della bellezza inimitabile di Venezia: la Basilica di San Marco.

Certo, i telegiornali hanno gridato per un paio di giorni allo scandalo. Quotidiani, riviste e siti internet si sono lanciati a caccia dei responsabili. L’attuale sindaco, quelli precedenti, i leghisti, la sinistra, i figliocci di Berlusconi? Poi, come sempre, l’attenzione è svaporata. La notizia non faceva più notizia. E se Venezia, un paio di mesi dopo, ha smesso di indossare la maschera da Disnayland, presa d’assalto da orde di turisti, per vuotarsi e assomigliare a una città di fantasmi è solo perché sull’Europa, sul mondo, è calato lo spettro della pandemia.

Impegnati a combattere il virus, o a diffondere idiozie sul complotto sanitario inventato per dominare il mondo, quasi tutti ci siamo scordati di Venezia. Per fortuna, a riportare la memoria a quella notte terrificante del 12 novembre 2019 ci ha pensato uno scrittore. Sull’onda delle emozioni, dello sgomento, della rabbia, ma anche spinto dalla voglia di raccontare una storia che andasse al di là dell’amara angustia della realtà, Giovanni Montanaro ha dedicato alla sua città e alla spallata che le hanno dato il vento e il mare un libro coraggioso e delicato al tempo stesso: “Il libraio di Venezia”, pubblicato da Feltrinelli (pagg. 137, euro 12).

Un libro che è un vero romanzo. Ma che, soprattutto nelle pagine dedicate alla notte infernale dell’acqua alta, porta dentro di sé la forza di un reportage fatto sul campo. Al centro della storia c’è una libreria, battezzata “Moby Dick” per rendere omaggio all’intramontabile romanzo di Herman Melville e alla sua inafferrabile balena bianca. A gestire quel piccolo spaccio di libri, del tutto indipendente dalle grandi catene, è Vittorio. Tenace e sognatore, molto lettore e poco imprenditore, innamorato delle camicie a quadri anche se, a quarant’anni suonati, lo fanno apparire un po’ fuori contesto, lui deve combattere con un affitto che tende a crescere in continuazione. Ben oltre le sue possibilità. E con la scarsa propensione alla lettura dei suoi clienti, che passano spesso per dare un’occhiata, ma poi non si decidono così facilmente ad acquistare qualcosa.

A ingarbugliare la sua vita arriva una ragazza. Troppo giovane per lui, visto che Sofia deve avere appena vent’anni. Ma più lei prende l’abitudine di andare a trovarlo, magari solo per scambiare due parole, più lui continua a pensare ai suoi occhi chiari. E alla voglia che avrebbe di regalarle un volume con le poesie dello scrittore turco Nazim Hikmet. Quando poi Chung, il cinese che gestisce il bar accanto alla libreria, la assume come cameriera al banco, per il libraio diventa quasi obbligatorio il rito del cappuccino. Accompagnato da un goffo corteggiamento, che non arriva mai al dunque.

Sarà l’acqua “granda” a scompigliare la vita di tutti i personaggi che ruotano attorno a Campo San Giacomo. E Giovanni Montanaro, per raccontare il loro inquietante faccia a faccia con la notte in cui il mare sembra pronto a portare via l’intera Venezia, filtra le storie di Vittorio e Sofia, di Chung che ha imparato a fare i toast più buoni della laguna, della pizzaiola e della ragazza che vende zaini e può contare su tre fidanzati in un colpo solo, attraverso gli occhi di una presenza che si rivela lentamente. Pagina dopo pagina. E di cui il lettore scoprirà un’identità più definita, e anche il nome, quando la storia corre verso la fine.

Potremmo dire che “Il libraio di Venezia” ha il merito di raccontare il martirio della città di San Marco, travolta dalla marea, senza mai arrendersi alla retorica. Potremmo aggiungere che questo romanzo ha il pregio di saper costruire una storia bella, credibile, sentita e che, per di più, riporta gli occhi di tutti i distratti sul miracolo che a Venezia resistano una ventina di librerie, anche se corrono spesso il rischio di veder finire sotto acqua i volumi che custodiscono, come è accaduto quella notte del 2019. E, poi, non bisogna dimenticare che un euro sul prezzo di ogni copia venduta dell’opera di Giovanni Montanaro è destinato al fondo Mibact per gli acquisti delle biblioteche pubbliche nelle librerie sparse per l’Italia.

Ma il vero fascino del “Libraio di Venezia” sta nel libro stesso. Nella storia che costruisce personaggi credibili, tridimensionali, mai banali e mai appesi all’invenzione. Perché Giovanni Montanaro, avvocato di professione con una passione inestinguibile per la lettura e la scrittura, arrivato in finale al Premio Campiello nel 2012 con “Tutti i colori del mondo”, è capace di dosare le parole. Di costruire una trama che si avvale di una dinamica compositiva assai simile a quella delle partiture musicali. Dove al pianissimo e al piano succedono il mezzo forte, il forte, inframezzati dall’andante con brio prima di approdare al fortissimo E lì, le pagine della notte da tregenda corrono come fossero sballottate dal vento rabbioso del 12 novembre.

“Il libraio di Venezia” non è solo una dichiarazione d’amore delicata, struggente e potente, piena di rabbia e per niente rassegnata all’idea che la città sia condannata a sparire. Ma è anche la conferma del talento di scrittore di Giovanni Montanaro. Un autore che, libro dopo libro, non tradisce le aspettative di chi lo apprezza.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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