• 28/12/2017

Pascal Quignard, la musica genera romanzi

Pascal Quignard, la musica genera romanzi

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Da bambino, Pascal Quignard non si sentiva a casa nel mondo delle parole. Tormentato da un’anoressia nervosa, chiuso dentro un mutismo che preoccupava non poco i suoi genitori insegnanti, riusciva a trovare soltanto dentro i libri e sul pentagramma la giusta via per esprimere le proprie emozioni. Per andare al di là della realtà, inventare storie, immaginare melodie che poi suonava lui stesso al pianoforte e all’organo. Oppure, accarezzando con l’archetto le corde di un violoncello, di un violino o di una viola.

Da grande, Pascal Quignard, cresciuto a Le Havre, ha trovato il modo di trasformare la sua passione per la letteratura e per la musica in un mestiere. Scrivendo libri che, spesso e volentieri, hanno proprio musicisti al centro della storia, fondando il Festival d’opéra et de théâtre baroques di Versailles. Ma concedendosi incursioni  importanti anche nel mondo delle idee, visto che ha studiato Filosofia a Nanterre con l’amico Daniel Cohn Bendit, potendo contare sull’insegnamento di pensatori importanti come Emmanuel Lévinas e Paul Ricœur.

Facile immaginare che, seguendo traiettorie così ispirate e alte, i testi di Pascal Quignard non abbiano niente da spartire con certi prodotti editoriali, a volte anche ottimi, sempre in corsa per i piani alti delle classifiche dei libri più venduti. Anche se non va dimenticato che il suo romanzo “Les ombres errantes” ha vinto il Prix Goncourt, “Terrasse à Rome” il Prix du roman de l’Académie française. E che “Tutte le mattine del mondo”, tradotto da Graziella Cillario e pubblicato dalla piccola, coraggiosa e ammirevole casa editrice Analogon, ha ispirato l’omonimo, bel film di Alain Corneau, che ha trionfato ai César, gli Oscar europei, aggiudicandosi anche l’Efebo d’oro.

Tra i tanti gioielli della sua sterminata produzione letteraria, uno riuscirà di certo a conquistare i lettori più raffinati e pronti a un viaggio immaginario senza confini. Ha un titolo curioso: “Le tavolette di bosso di Apronenia Avizia”. L’ha tradotto Ursula Manni sempre per Analogon (pagg. 153, euro 16). In Francia è stato pubblicato da Gallimard oltre trent’anni orsono, nel 1984, dopo il romanzo di debutto di Quignard, “Le lecteur”, e la sua seconda prova narrativa “Carus”.

Guardato con superficialità e un pizzico di diffidenza, questo libro potrebbe apparire come un lodevole, ma sterile esercizio di stile. Un pezzo di bravura di uno scrittore raffinato e colto, come Quignard, che si diverte a ricostruire la sfrenata voglia di vivere della sua Apronenia Avizia, ma anche la consapevolezza che un mondo stava per tramontare: quello della Roma tardo-imperiale. Utilizzando, per comporre alcune parti del testo, l’eleganza e gli elementi formali della poesia giapponese.

Fingendo fino all’ultimo riga di essere uno studioso che decritta il diario di un’anziana patrizia romana, lo scrittore francese accompagna il lettore alla scoperta delle confessioni minime, delle annotazioni apparentemente prosaiche, dei ricordi mai banali che Apronenia Avizia andava incidendo su alcune tavolette di bosso arrivate fino a noi. Non mancano, ovviamente, una dotta introduzione storico-filosofica, una serie di note che illuminano ed esplicano il significato di quelle stringate comunicazioni. Il tutto accompagnato da puntuali comunicazioni che danno conto della datazione e della posizione, all’interno dei documenti rinvenuti, dei singoli testi.

Note quotidiane sull’acquisto di vini, di tessuti, di essenze preziose, si intrecciano a stati d’animo, ricordi, piccole storie della vita vissuta da una donna che è stata moglie e amante, che ha partorito delle figlie, che ha goduto delle attenzioni dei suoi uomini, del sesso, del cibo cucinato con passione e dei vini migliori. E anche se Quignard non abbandona mai il suo aplomb di finto studioso, di filologo preoccupato soltanto a rispettare l’originalità del testo, in realtà il lettore più attento riconoscerà gli ammiccamenti, a volte le citazioni lampanti di alcuni grandi autori del passato come Ovidio, Lucrezio, Petronio. Ma anche una grande nostalgia per quel mondo popolato di divinità rese meno minacciose, e sperdute nella maestosa immensità dell’universo, dalle imperfezioni attribuite loro, che le rendevano assai simili agli uomini.

Tardo-impero spazzato via dal galoppante imporsi dell’insegnamento cristiano, della rivoluzionaria e al tempo stesso intollerante diffusione del messaggio evangelico. Da un’iconoclastia che ricorda quella di altri fanatici, di altri integralisti apparsi sul palcoscenico della Storia. Un epocale passaggio, insomma, dal politeismo al monoteismo che nelle parole immaginarie di questa anziana patrizia romana trascina via con sé quell’atmosfera, quello stato d’animo, quello stile di vita, di un mondo che non aveva ancora rigidamente diviso la realtà in Bene e Male. In “o sei con me o sei contro di me”. In luce e tenebra.

Scritto con controllata perfezione, ma al tempo stesso con musicale cantabilità e fantasia, tradotto con grande eleganza, questo romanzo di Quignard regala ai lettori un personaggio apparentemente sfuggente. In realtà umanissimo, carnale, vivo. Una Apronenia Avizia che porta impresso nel proprio destino un dubbio fortissimo: come sarebbe andato il mondo, da allora fino ai nostri giorni, se avesse fatto scuola la filosofia di Epicuro? Se il libro di riferimento fosse stato il “De rerum natura” di Lucrezio?

Cosa sarebbe di noi, insomma, se non fossimo i figli dei figli di un mondo così dannatamente manicheo? Di una società che ancora separa drammaticamente le cose dello spirito da quelle della nostra irrinunciabile, terrestre corporalità?

<Alessandro Mezzena Lona

 

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