Si può disegnare un ritratto della realtà con la testa piena di sogni. Si può immergere le mani nella follia del mondo senza smettere di raccontare storie, avventurosi destini, immaginari percorsi che vanno verso l’impossibile. Si può essere, insomma, al tempo stesso innamorati della letteratura d’intrattenimento, ma scrivere romanzi che sanno conquistare la paludatissima giuria del Premio Mishima, il più importante riconoscimento assegnato agli autori del Giappone. Sì, si può, e Furukawa Hideo è la dimostrazione vivente che il suo vorticoso crossover narrativo tra pop e temi “alti” funziona alla grande.
Figlio di contadini, arrivato alla narrativa dopo una lunga gavetta da autore di teatro, Furukawa Hideo ha conquistato prima fama e popolarità in Giappone. Poi, con due romanzi sorprendenti, è riuscito ad attirare anche l’attenzione dei lettori italiani. Tanto che il Festival Incroci di civiltà lo ha voluto conoscere più da vicino, invitandolo a Venezia nell’ambito della rassegna organizzata dall’Università Ca’ Foscari.
Cinque anni fa, Sellerio ha pubblicato “Belka”, originalissimo romanzo di Furukawa Hideo, tradotto da Gianluca Coci (pagg. 442, euro 16), in cui lo scrittore di Kōriyama racconta un frammento molto particolare della Seconda guerra mondiale. Ovvero il destino di alcuni cani soldato, e il loro inserimento in un mondo devastato dal conflitto dopo la sua fine. Quest’anno, invece, sempre Sellerio ha proposto lo straordinario “Tokyo Soundtrack” (pagg. 761, euro 18), sempre nell’ottima traduzione di Coci, costruito attorno alla storia di due bambini, Touta e Hitsujiko, sopravvissuti a vicende familiari dolorose su un’isola dimenticata che, piano piano, vengono reinseriti nel contesto sociale. Ma, incapaci di trovare un loro centro di gravità permanente, faranno di tutto per inventarsi una strada alternativa. In un mondo che assomiglia molto al nostro, dove non c’è più posto per gli immigrati, per chi non ha soldi e successo.
Ma il fascino più grande dei romanzi di Furukawa Hideo sta proprio nella sua capacità di analizzare attentamente la realtà ammantandola di un’atmosfera onirica. Creando visioni, suggestioni, intuizioni, che sembrano presi di peso dalla letteratura fantastica. E che, in realtà, funzionano benissimo nel loro ruolo di immaginifico mascheramento di raggelanti situazioni quotidiane. Come l’autobus fantasma, che preleva ogni giorno una schiera di figure impalpabili, uscite forse da una dimensione parallela. Ma che, a uno sguardo più attento, si rivelerà abitato soltanto da poveri immigrati sfruttati dalla catena di montaggio del lavoro.
“Mi piacciono i personaggi laterali, perché credo che loro in qualche modo vogliono cambiare la società – spiega Furukawa Hideo, che non si separa mai dal suo cappellino -. Stando al centro delle cose è difficile vedere quello che non funziona, più facile avere una visione lucida stando ai margini”.
Una società inquietante, che se la prende con chi è diverso, più debole?
“In tutto il mondo, e non solo in Europa, la nostra convivenza sociale sta peggiorando soprattutto a causa della situazione economica. Quando la società, e soprattutto l’economia, sono stabili non ci sono grossi problemi a stare insieme. Al contrario, quando iniziano le difficoltà, chi sta al centro del nostro sistema e si trova a esercitare il controllo, il potere, tende a scaricare questa instabilità sulle persone che, al contrario, si trovano ai margini. Quindi, si viene a creare una situazione di estrema fragilità, precarietà, i cui danni maggiori si riversano su chi è più debole. L’arrivo, poi, di migranti dall’esterno, quindi da aree geografiche ancora più povere e instabili, porta ulteriori frizioni all’interno del tessuto sociale. Anche se io credo che questo flusso di persone sia necessario perché porta cambiamenti”.
È una guerra tra poveri?
“Logico che le grandi potenze mondiali come l’America e la Cina, ma anche il Giappone, tendano a chiudersi davanti alla pressione dei popoli che stanno ai margini. Sbagliano, perché non creano quel corridoio di comunicazione con le periferie, con chi è lontano dal centro del potere e dell’economia. È quello che cerco di dire in ‘Tokyo Soundtrack’, raccontando le tensioni sempre più forti che si vanno creando nelle nostre città”.
Un quadro impietoso del nostro mondo che lei racconta con una sorta di realismo magico?
“Sono stato influenzato dal realismo magico. In modo particolare dalla letteratura latino-americana, che possiamo dire abbia inventato il genere. Ovviamente, faccio apposta a ricreare quel modo di raccontare, per far capire al mio lettore quali sono le mie influenze letterarie. Però, a ben guardare, io sono uno scrittore che si limita a osservare e descrivere la realtà. Faccio un esempio: fino a vent’anni fa l’idea di comunicare attraverso gli smartphone era una storia da romanzo fantascientifico. Così io descrivendo alcune cose reali creo delle atmosfere misteriose, strane. Ma, in realtà, drammaticamente attuali”.
L’arrivo di Touta a Tokyo ricorda l’inizio di “America” di Franz Kafka, l’autobus fantasma assomiglia a certe visioni di Dino Buzzati e Federico Fellini. Sono citazioni volute?
“Senza dubbio ci sono scrittori che hanno avuto intuizioni letterarie, artistiche, fondamentali. L’inizio di ‘America’ di Kafka, come certe idee di Buzzati e Fellini, sono ormai dei prototipi. Fanno parte dell’immaginario di tutti. Normale che noi scrittori, che arriviamo dopo di loro, finiamo per essere influenzati da questi punti di riferimento importantissimi. In Giappone, poi, la cultura europea ha lasciato un segno forte anche sugli autori più pop”.
Quanto è stato influenzato dai manga, dagli anime, dalla cultura pop del Giappone?
“Senz’altro, il personaggio che mi ha influenzato di più è stato Osamu Tezuka, quello che in Giappone è stato definito il Dio dei manga. Non ha suggestionato solo altri disegnatori e artisti, ma anche lo scrittore giapponese più popolare nel mondo: Murakami Takashi. Credo che senza il lavoro di Osamu non avremmo avuto un grandissimo regista di cartoni animati come Miyazaki Hayao. Lo amo moltissimo, adoro i suoi film, anche se non posso dire che abbia lasciato il segno sui miei libri”.
Le storie disegnate hanno un grande seguito in Giappone?
“Grandissimo, ci sono persone che leggono praticamente soltanto manga. A me, invece, questa forma di espressione artistica mi interessa solo in parte. Perché credo che uno scrittore deve saper mescolare generi diversi, stili che a volte possono sembrare in contraddizione, e non fermarsi a un solo linguaggio”.
Quanto conta la musica nel suo lavoro?
“Moltissimo. Sono influenzato dai musicisti pop giapponesi più nuovi. Mi piace molto il loro coraggio di allontanarsi dalle influenze che arrivano da fuori, per rielaborare qualcosa di originale. Ci sono ottimi gruppi che lavorano soprattutto su un crossover, una contaminazione di generi che assomiglia molto a quello che sto facendo nei miei libri”.
Scrittori si nasce o si diventa?
“Sono nato in una famiglia di agricoltori. Nella mia casa non c’erano libri, i miei genitori non leggevano. Quando sono andato a scuola, alle elementari e alle medie, ho scoperto l’esistenza della letteratura. Ho iniziato da solo a interessarmi al lavoro degli scrittori. Mi sembrava un’attività talmente lontana e difficile che non avrei mai osato immaginarmi un giorno autore di romanzi”.
E poi?
“Piano piano ho sentito crescere in me il desiderio di scrivere. A 16 anni ho provato con il teatro, mettevo assieme copioni per il palcoscenico abbastanza semplici. Sono andato avanti così fino ai 25 anni. A un certo punto, ho cominciato a capire che mi serviva qualcosa di più, che volevo tentare la via del romanzo. Ho impiegato sei anni per trovare l’ispirazione giusta. Il primo libro l’ho pubblicato 31 anni”.
Agli editori piacevano le sue storie?
“Il primo editore a cui ho fatto leggere il mio romanzo ha espresso subito un grande apprezzamento per il mio stile, per la trama. Però tutti mi dicevano la stessa cosa: i tuoi romanzi sono molto originali, ma stanno a metà strada tra la letteratura pura e quella d’intrattenimento. Mi consigliavano di scegliere una via precisa, altrimenti non sarei riuscito ad andare avanti”.
E lei?
“Ho chiesto che mi spiegassero la differenza. E l’editore mi ha detto che la letteratura pura gode di un grande prestigio, ma l’altra fa vendere più copie. Così ho scelto la letteratura d’intrattenimento. Al mio quarto romanzo ho vinto due premio importanti: uno per la fantascienza, l’altro per il mystery”.
A un certo punto, però, la letteratura pura si è inchinata a lei?
“Ho dovuto aspettare altri cinque anni. Poi è arrivato il Premio Mishima, che vale la consacrazione per uno scrittore giapponese. A quel punto potevo considerarmi un autore di letteratura pura e d’intrattenimento insieme. E ho tirato dritto per la mia strada, mescolando quei due mondi così lontani, soltanto in apparenza”.
<Alessandro Mezzena Lona