• 19/11/2018

Bianca Pitzorno, far rivivere la Storia con amore e fantasia

Bianca Pitzorno, far rivivere la Storia con amore e fantasia

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Chissà perché, chi scrive romanzi dedicati ai ragazzi è considerato un autore magari bravo nel suo genere. A volte bravissimo. Eppure non adeguato a essere ammesso nel sacro recinto della letteratura “alta”. Sarebbe facile citare un gigante come Roald Dahl, per alcuni un mito, per altro soltanto un onesto inventore di storie minori. Potremmo ricordare anche Neil Gaiman, amatissimo per Coraline e altri personaggi che ha inventato, a cavallo tra narrativa fantastica e graphic novel, ma costretto ancora a galleggiare nel limbo degli artisti di genere. Geniali, perché no, nell’inventare intrecci che catturano il lettore della prima all’ultima pagina. Però condannati a restare chiusi nella mediocrità di quella che il Premio Nobel Mario Vargas Llosa, con un sopracciglio leggermente alzato, definisce letteratura “light”. Di massa, di consumo, di intrattenimento. Chiamatela come più vi piace.

Forse è per questo che una scrittrice straordinaria come Bianca Pitzorno non viene considerata ancora una gloria della letteratura italiana. Ma solo un bravissima scrittrice di libri per ragazzi. E allora, viene il sospetto che molti critici, letti un paio di libri dell’autore, non cambino più opinione. Rifiutino di riesaminare il caso. E, magari, smettano di appiccicare le loro stupide etichette con cui confinano nella palude dei generi chi sa fare surf, con grande bravura, tra la saggistica e la narrativa, tra libri di grande spessore a altri più leggeri, divertenti.

Laureata con una tesi in archeologia preistorica all’Università di Cagliari, specializzata in cinema e televisione alla Scuola Superiore di Comunicazione di Milano, Bianca Pitzorno ha scritto autentici gioielli narrativi dedicati ai ragazzi come “Extraterrestre alla pari”, “La casa sull’albero”, “Streghetta mia”, “La bambinaia francese” e tanti altri, conquistando per ben cinque volte il Premio Andersen. Ma non si è fermata lì, perché nel suo percorso di scrittura ci sono anche biografie di personaggi storici come “Vita di Eleonora d’Arborea”, manuali di scrittura, autentiche rivelazioni come “La vita sessuale dei nostri antenati”, che l’ha portata a vincere il Premio Napoli. In più, ha tradotto Sylvia Plath e David Grossman, oltre a molti altri autori.

E ancora oggi, dopo aver pubblicato più di cinquanta libri, è capace di stupire i suoi lettori. Mandando nelle librerie due lavori apparentemente molto diversi, che in realtà rappresentano molto bene le tante anime creative presenti in lei. Con Mondadori Ragazzi ha realizzato  “La canzone di Federico e Bianchina” (euro 17), uno splendido libro illustrato da Sonia Maria Luce Possentini, raffinata disegnatrice nata a Canossa, che ha vinto premi importanti come il Pippi, il Rodari e l’Andersen.

E qui bisogna mettere subito in chiaro una cosa. Volumi come “La canzone di Federico e Bianchina”, in Francia, in America, starebbero senza problemi affiancati alla narrativa per “grandi”. Dal momento che la scrittrice ha composto la sua ballata partendo dalla Storia, da vecchi documenti del 1382. Carte che raccontano la storia della figlia del doge di Genova Nicolò Del Guarco e del rampollo di una nobile famiglia sarda, do origine genovese, i Brancaleone Doria.

Questo romanzo breve in forma di canzone, che vive tra i colori, i segni, le fantastiche interpretazioni grafiche che ne ha dato Sonia Maria Luce Possentini, va a recuperare una storia completamente dimenticata. Quella del promesso matrimonio tra due ragazzini, Federico e Bianchina, stabilito in un patto tra due ricche e potenti famiglie, che avrebbe dovuto celebrarsi non appena i promessi sposi di dieci anni avessero raggiunta la pubertà. Concedendo loro, insomma, di giocare assieme, di crescere all’ombra dei sogni e di una conoscenza per nulla forzata.

Ma, come dice la ballata, “Genova cantava al soffio del maestrale”. Sarà quel vento, che passa tra le case della città con la forza di un genio dispettoso, a scombinare i piani. A decidere il destino dei due ragazzi.

Diceva Marguerite Yourcenar, la grande scrittrice delle “Memorie di Adriano” e di quel capolavoro che è “L’opera al nero”, che i vecchi documenti, in sé, sono morti. Non hanno più la forza di vivere abbandonati lì, negli archivi, nelle raccolte a cui hanno accesso solo gli studiosi. Rivivono, riacquistano la forza di raccontare storie dimenticate, quando trovano qualcuno disposto a leggerli con amore. A far scorrere di nuovo nelle loro vene il sangue cristallizzato dal fluire del tempo. Bianca Pitzorno, rispolverando la sua formazione da archeologa della preistoria e unendola al talento di scrittrice, è riuscita a riportare sotto i riflettori del nostro sgurdo i destini di Federico e Bianchina. Raccontando l’amore irrealizzato di due ragazzini, seicento anni orsono, con la delicatezza e la forza chi chi sa guardare la Storia, o forse è meglio dire la microstoria, con occhi limpidi e curiosi di un cantastorie colto.

A Bompiani, invece, Bianca Pitzorno ha proposto un romanzo “per grandi”. Uno dei più belli tra quelli usciti nell’annata letteraria 2018 in Italia. “Il sogno della macchina da cucire” (pagg. 233, euro 16) racconta, ancora una volta, una storia di un altro tempo. Che galleggia tra gli anni ’50 e i ’60 del ‘900. Un periodo in cui esistevano ancora le “sartine a giornata”. Perché, soprattutto dopo la fine della Seconda guerra mondiale, in molte case borghesi si era costretti a “recuperare” e riutilizzare in altra forma abiti e tessuti passati di moda. I vestiti di produzione industriale, il prêt-à-porter, le grandi firme, sarebbero arrivati molto dopo. Così, ogni casa che si rispettasse aveva la sua cucitrice personale, spesso tanto brava da riuscire a confezionare capi all’altezza della grandi sartorie parigine.

In quel tempo ormai lontano, non c’era spazio, però, per le illusioni delle sartine che sgobbavano senza sosta per concedersi una vita dignitosa. Tanto che la protagonista de “Il sogno della macchina da cucire”, avviata alla professione della cucitrice dalla nonna, pur coltivando un amore segreto per la lettura e una grande passione per le opere di Giacomo Puccini, rischia di finire molto male quando il giovane erede di una famiglia molto ricca si invaghisce di lei. E non gli basta consumare una passione capricciosa e fugace con la giovane, umile ricamatrice, ma vorrebbe sposarla. Scatenando l’ira funesta della nonna, che finirà per sguinzagliarle contro la polizia, l’inflessibile giustizia dei tribunali, sempre pronti a inchinarsi alla voce del padrone.

Costruendo un puzzle di storie appassionanti e tristi, comiche e drammatiche, che hanno la forza dei migliori “feuilleton” del glorioso passato letterario europeo, Bianca Pitzorno allinea sotto gli occhi del lettore una galleria di personaggi tratteggiati con colori vividi e sfumature spesso inquietanti, Racconta un’Italia in cui la divisioni tra classi sociali era ancora rigidissima. Dove una giovane sartina, per uscire dalla sua umile condizione e rivendicare un posto nel mondo, doveva sfidare pregiudizi incrollabili, soprusi terribili.

E questo disprezzo nei confronti della donna era giustificato dal fatto stesso di considerarla un essere comunque inferiore. Una pedina della società importante soltanto per la procreazione, per la cura della casa, della famiglia. E per soddisfare in silenzio i capricci sessuali dei ricchi padroni. Infatti, la protagonista dovrà contare sulla sua intelligenza, e sull’abilità delle mani nel creare ammirevoli opere di sartoria, per conquistare la simpatia e la fiducia di persone come la marchesina Ester, capace di rompere un matrimonio dopo aver scoperto tutta la meschinità di suo marito, e della giornalista americana Lily Rose, indomita antesignana della liberazione femminile, che non sa però rinunciare a innamorarsi di uomini disprezzabili.

“Il sogno della macchina da cucire” assomiglia un po’ a quello di Bianchina e Federico. Perché Bianca Pitzorno, da sempre, crede nella forza narrativa di personaggi come la sartina, i due piccoli promessi sposi. Figure tutt’altro che appariscenti, uscite dal passato per raccontare storie che ci facciano riflettere sul presente. Eroi di umane avventure che la scrittrice sa cesellare con una forza e una grazia che è difficile smettere di apprezzare.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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