Ha scritto più di cinquanta libri. È tradotta in giro per il mondo, dove ha venduto oltre due milioni di copie. Ha una laurea in Archeologia preistorica, ha studiato alla Scuola Superiore delle comunicazioni. È stata per molti anni alla Rai di Milano, dov’è entrata dopo aver frequentato un master alla Cattolica di Milano ed essere passata per la scuola del Piccolo Teatro. Eppure ogni volta che esce un nuovo romanzo di Bianca Pitzorno è normale sentirla definire la più grande scrittrice di letteratura per l’infanzia. Etichetta lusinghiera, non c’è dubbio, ma che le va decisamente stretta. Anche se non si può negare che ci sono stuoli di adolescenti cresciuti sognando sulle pagine dell’autrice nata a Sassari.
Bianca Pitzorno è una scrittrice del tutto libera di immaginare ogni volta storie diverse. E di seguire traiettorie che la portano in epoche diverse del passato, o in corridoi paralleli al nostro presente. Seguendo le tracce di personaggi inventati o reali. Siano l’Amazzone di Alessandro Magno, la sua amatissima Lavinia, un Extraterrestre alla pari, la dimenticata Eleonora d’Arborea o la sartina de “Il sogno della macchina da cucire” (leggi in questo blog Arcane Storie: http://www.arcanestorie.it/2018/11/19/bianca-pitzorno-far-rivivere-la-storia-con-amore-e-fantasia/). Perché lei, che nelle interviste confessa di avere sognato di fare il falegname, è esattamente come le storie che racconta. Non pone limiti alla fantasia. E nemmeno alla curiosità.
Curiosità, e grande amore per l’immaginazione, che spinge Bianca Pitzorno a tessere adesso un libro delizioso. Uno in più. Si intitola “Sortilegi”, lo pubblica Bompiani (pagg. 143, euro 15), porta alla ribalta della narrazione tre storie che sembrano lontanissime nel tempo. Ma che, in realtà, sanno raccontare a modo loro i lati oscuri e luminosi dell’essere umano. Perché danno voce, senza retorica né facili moralismi, ai disastri causati dalla superstizione, dall’eterna diffidenza per l’altro, dal furore scatenato da una delusione d’amore, dalla forza dei ricordi, dal profumo inebriante di tutto ciò che perdiamo.
Questa volta, per accompagnare i suoi “Sortilegi”, Bianca Pitzorno ha deciso di far risuonare un controcanto alle storie immaginate. Così, dopo “La strega”, “Maledizione” e “Profumo”, allega delle note preziose. Tre conversazioni con se stessa nate per spiegare ai lettori la genesi dei racconti. Ma non solo. Perché la scrittrice non esita a richiamare in campo altri personaggi, accomunati ai suoi da una sorte per certi versi analoga. E, poi, letture importanti, libri seminali, che l’hanno accompagnata prima e durante il lavoro di scrittura.
“La strega” ricorda, ad esempio, la triste e paradossale vicenda di Gostanza da LIbbiano. La vecchia donna di San Miniato, riportata alla memoria da un bel libro curato da Franco Cardini e poi reincarnata nel corpo dell’attrice Lucia Poli nel film di Paolo Benvenuti del 2000, che venne assolta dall’Inquisizione, dopo strazianti torture, perché raccontava verità demoniache che gli stessi accusatori ritenevano eccessive. Non credibili. Nel racconto di Bianca Pitzorno, però, al centro della storia c’è una bambina che cresce in totale solitudine nel cuore del bosco di Vallebuja. Dopo che la sua famiglia è stata sterminata dalla peste. Sì, proprio quella del 1600, conosciuta attraverso le indimenticabili pagine dei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni.
A complicare la vita di Caterina, oltre alle accuse strampalate e terribili di chi le attribuisce malefiche fatture sui raccolti, contro i bambini e le persone che si ammalano all’improvviso, sarà la sua solare bellezza. E il fatto che davanti al mistero di una fanciulla spuntata dal nulla, come accadde a Kaspar Hauser o al ragazzo selvaggio dell’Aveyron, si arrenderanno alla furia della diffidenza e della superstizione perfino le poche menti illuminate che abitano nel paese vicino a Vallebuja.
“Maledizione” prende spunto da un oggetto misterioso. Una tovaglietta ricamata, che potrebbe risalire al XIX secolo, custodita nella sezione etnografica del Museo “Giovanni Antonio Sanna” di Sassari. Proviene dalla Barbagia ed è bordata da una lunga scritta all’apparenza incomprensibile. In realtà, parole prese dal latino, dallo spagnolo e dal volgare raccontano di una maledizione terribile lanciata contro un certo Gadoni. Un “giovane uomo che era sbarcato sull’isola dal continente alla ricerca di metalli preziosi nascosto sottoterra”, immagina Bianca Pitzorno. Allegro, simpatico ma non frivolo, ottimo ballerino, finisce per far innamorare la Signora della Domo Manna. Un tipetto che, fino a quel momento, aveva disdegnato e respinto tutti i pretendenti che le si avvicinavano.
Nessuno può prevedere, però, che lo straniero chiederà in moglie Vittoria Palmas, la cameriera assegnata al servizio personale della Signora. Che, vendendosi rifiutata dall’unico uomo capace di farle bttere forte il cuore, scatenerà tutta la sua furia in un sortilegio terribile. Destinato, però, a infrangersi contro la semplice complessità dell’imprevedibile.
A chiudere i “Sortilegi” di Bianca Pitzorno”è un delizioso microracconto legato ancora alla sua Sardegna: “Profumo”. Dove la scrittrice immagina che a bordo di un transatlantico, lanciato sulla traiettoria dell’Oceano verso l’Argentina, un misterioso pacco semini l’inquietudine tra i passeggeri. Perché emana un odore fatto del soffio del vento. Aroma di biscotti lontani, che farà imbizzarrire i cavalli della pampa nelle notti di luna.
Assai difficile resistere al fascino dei “Sortilegi” di Bianca Pitzorno. Costruiti come meccanismi a orologeria, di una perfezione millimetrica, appassionanti tanto da spingere il lettore a sperare che il libro abbia un seguito, i tre racconti ricordano le parole scritte da Italo Calvino nelle sue “Lezioni americane”, pubblicate nel 1988 da Garzanti: “Leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.
Bianca Pitzorno diverte e si diverte a costruire tre storie che frugano dentro i corridoi più segreti della mente umana. Lo fa con precisione storica e felicità narrativa. Evocando, sul palcoscenico delle pagine, paure e illusioni, malvagità e gesti di grande umanità. Ridando alle parole quel loro misterioso, alchemico potere di spalancare pertugi sul mistero. Pur senza mai abbandonarsi alla tentazione di valicare il confine tra la realtà e l’impossibile. Perché, diceva Jorge Luis Borges, la letteratura ha già dentro di sé “la forza di sentire le cose come strane”. Non le serve altro.
I “Sortilegi” di Bianca Pitzorno sono metafore dell’essere uomini. Puntano gli occhi sulla realtà, su un tempo ormai passato, eppure tremendamente presente, che nasconde in sé un luminoso cuore di tenebra.
<Alessandro Mezzena Lona