Si può lasciarsi governare da un’ossessione. Fare del tormento d’amore il pensiero cardine delle proprie giornate. Ingigantire i dettagli, amplificare le sfumature di un conversazione, catalogare con implacabile precisione gli atti mancati, i gesti trattenuti, le parole non dette o pronunciate senza pensare alle ferite che possono provocare. E fare di tutto questo il proprio centro di gravità permanente. Attorno a cui ruotano, come spettrali satelliti, il lavoro, i figli, gli amici, le proprie passioni e gli interessi passati in secondo piano.
Per la donna che abita il romanzo di debutto scritto da Maud Ventura, l’amore è l’ossessione cardine della sua vita. Anzi, sarebbe più giusto dire che il punto focale di ogni pensiero è il marito. Visto che lei non smette per un solo istante di analizzare il loro rapporto matrimoniale. di mettere in evidenza la sua totale dipendenza da lui. Ma, al tempo stesso, la protagonista non può impedirsi di sottolineare quello che non funziona. Arricchendo ogni giorno della settimana, che corrisponde a un colore preciso capace di prevedere come andranno le cose, di nuove ossessioni. Di fatti del tutto interlocutori che diventano, invece, snodi fondamentali di questa fissazione amorosa.
Parigina, laureata all’Hec, la scuola di studi superiori commerciali francesi, caporedattrice di podcast in un grande gruppo radiofonico, Maud Ventura ha debuttato con “Mio marito”, il libro tradotto dal francese da Mauro Cazzolla per SEM (pagg. 220, euro 19). Ed è riuscita a vincere subito il Prix du Premier Roman, esplorando con grande forza e straordinaria sensibilità la complessità del sentimento d’amore, come fa anche nel suo seguitissimo podcast “Lalala”. Tanto da convincere la scrittrice di culto Amélie Nothomb a definire la sua opera di debutto “una delizia, irresistibile”.
Ospite di Pordenonelegge 2022, Maud Ventura racconta che i suoi bisnonni Domenico Ventura e Maria Palombo sono arrivati in Francia da Casalvieri, nel Lazio, come tanti immigrati italiani che si trasferirono lì negli anni Trenta. “Non parlo una parola d’italiano”, chiarisce subito, anche se lo capisce abbastanza bene. “Ma porto il loro cognome ed è a loro che dedico questo libro”. Nessun legame di parentela, invece, con il grande attore Lino Ventura, che era nato a Parma ed è morto in Francia nel 1987, dopo una prestigiosa carriera. “I destini delle nostre due famiglie si assomigliano: entrambe raccontano la storia di migliaia di immigrati italiani”.
“Nel mio romanzo ho voluto che entrassero alcuni dei miei punti di riferimento letterari – dice Maud Ventura -. Non poteva non esserci Marguerite Duras con il suo romanzo più famoso ‘L’amante’. Ma anche Jean Racine con la ‘Fedra’. Non mancano nemmeno le serie tv, perché alcune le trovo molto belle. La protagonista del libro è una professoressa d’inglese che legge molto e lavora sulle traduzioni. Quindi, il mondo degli scrittori ha un ruolo centrale nella sua vita”.
La sua protagonista non è un personaggio di carta: vive, ama, soffre, esagera.
“Ho cercato di raccontarla nel modo meno artefatto, proprio perché risultasse credibile per il lettore. Mi sono impegnata a mettere nel libro quello che fa, le sue antipatie e simpatie. E, ovviamente, i suoi studi, i romanzi che legge perché le assomigliano. Se avessi scelto un’attrice o una cuoca mi sarei impegnata a studiare, a esplorare, e poi a riprodurre i loro mondi”.
Più che una storia d’amore lei racconta un’ossessione d’amore?
“Questa ossessione imprigiona tutti i pensieri della protagonista. Qualcuno si spingerà a dirle che lei si concentra sul pensiero fisso dell’amore perché non vuole affrontare i problemi reali. Alla fine, lei stessa ammetterà che il suo concentrarsi maniacale sul rapporto con il marito sia un diversivo”.
Una deviazione dai pensieri molesti?
“Ho studiato Filosofia e ricordo bene che Blaise Pascal diceva che il divertimento è un diversivo che permette di affrontare la vita. Le puntate al casinò, il gioco delle carte, possono aiutare a non pensare troppo ai problemi reali. Ecco, io credo che anche l’ossessione d’amore possa essere un divertimento, oltre che un tormento, capace di deviare il pensiero. Permette di guardare altrove”.
La protagonista lavora con le parole, le maneggia con cura. Quello che fa lei con la sua storia.
“La scrittura deve avere rispetto delle parole. Anche perché permettono, via via che scorre la storia, di mettere meglio a punto il personaggio. Di scoprire nuovi aspetti della sua vita”.
Quando nasce la grande passione di Maud Ventura per la scrittura?
“Quand’ero bambina, se i miei genitori mi chiedevano che cosa volessi fare da grande io rispondevo. l’écrivist. Inventando la parola, perché in francese scrittrice si dice écrivain. Allora loro cercavano di correggermi: vuoi fare la giornalista? Ma io insistevo: no, l’écrivist. Quindi devo ammettere che la mia passione per la scrittura arriva da molto lontano”.
Raccontando i dettagli minimi del quotidiano “Mio marito” diventa un viaggio profondo nella vita reale?
“Mi interessa inventare storie per raccontare l’avventura degli avvenimenti minimi che accompagnano le giornate di ogni persona. Da scrittrice, mi interessano meno i fatti roboanti, le guerre, i grandi cambiamenti politici. A me basta un divano, una cucina, una coppia sposata: in quelli scenari trovo il lato interessante del narrare”.
È lì che si annida il senso della vita?
“Se vuoi capire la vita reale sono le piccole cose a coinvolgerti davvero, a darle un senso. Il capo che non ti saluta o ti tratta male, qualcuno che risponde ai messaggi in modo sbrigativo. Ecco, sono storie che ci preoccupano e ci spingono a riflettere. Anche perché nello scorrere dei giorni, poche volte stiamo lì a tormentarci sul significato dell’esistenza. Contano molto di più certe cose apparentemente banali”.
Lei ama le serie tv. E il cinema di Éric Rohmer, dei fratelli Jean Pierre e Luc Dardenne?
“Amo molto quel cinema, mi ha segnato profondamente. Ma a differenza dei riferimenti precisi a Marguerite Duras, ho preferito che certe suggestioni entrassero nel mio romanzo in maniera subliminale. Non chiaramente dichiarate. Un lettore mi ha chiesto pure se per alcuni passaggi del libro mi fossi ispirata alla serie tv americana ‘Why women kill’, che racconta tre donne e l’infedeltà che entrerà nelle loro storie d’amore. Ci ho riflettuto, mi sono ricordata che stavo guardando alcune puntate proprio mentre scrivevo”.
Che tipo di scrittrice è: metodica, anarchica, ossessiva?
“Il mio modo di lavorare è molto particolare. Ogni volta che mi viene in mente un idea, o se sento qualcuno raccontare una storia che mi piace, mando un messaggino telefonico a me stessa. Poi, alla sera trasferisco tutti questi appunti nella memoria del computer. Sono tanti piccoli semi che faranno germogliare la storia. Quando li rileggo, quasi sempre riesco ricordarmi perché li ho voluti segnare. E a che cosa stavo pensando in quel momento. olti di quei frammenti entrano nelle cose che scrivo”.
Una sorta di storyboard telefonico?
“Sì, che poi cancello se non mi serve più. Quando scrivo sono meticolosa. Ricordo a memoria ogni pagina che finisco. Rifletto molto sui passaggi della storia, su quello che devono fare i personaggi. Cerco di non lasciarmi mai trascinare da un entusiasmo momentaneo che poi, magari, ti porta a compiere degli errori. Se devo descrivere un uomo che beve un caffè, provo a guardarlo con precisione, ma stando bene a distanza da lui. In modo che la scena sia credibile. Adesso le rivelo un segreto”.
Racconti…
“Tutti i nomi dei personaggi che invento si riferiscono a qualcuno della mia famiglia. Quindi si chiamano come mio padre, mio nonno, mia madre, e via così. E poi, ogni cosa all’interno del mio romanzo ha un significato preciso. Anche i colori, che la protagonista abbina ai sette giorni della settimana. Perché riflettono il suo stato d’animo nell’affrontare la quotidianità. Posso dire che sono ossessionata dalla scrittura, come la mia protagonista”.
La musica ha un ruolo importante nel romanzo. E nella sua vita?
“Quando scrivo ascolto musica in cuffia. Mi collego con Spotify, le canzoni mi attraversano e trovano posto nella storia. Ci sono brani, soprattutto in lingua inglese, che segnano passaggi importanti di ‘Mio marito’. Ecco, sono gli stessi che amo io, insieme a molti altri”.
<Alessandro Mezzena Lona