• 22/12/2022

Nicola H. Cosentino: “Le tracce fantasma di un millenial deluso”

Nicola H. Cosentino: “Le tracce fantasma di un millenial deluso”

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La musica è un mastodontico acceleratore di sensazioni. Con quattro note fa riaffiorare dal passato ricordi e nostalgie, sogni e delusioni. Spesso inventa un presente che vive nei corridoi paralleli alla realtà. E non impedisce di immaginare una che vita che sappia mettere in fila tutte le nostre migliori illusioni, concedendo la speranza che si realizzino almeno in parete. Parecchi dischi, si sa, contengono dentro di loro delle tracce fantasma. Brani non dichiarati nella tracklist, che, quasi sempre, arrivano dopo una pausa. Un silenzio foriero di sorprese. Belle, brutte, oppure incolori: questo è tutto da scoprire.

Proprio quelle “Tracce fantasma” danno il titolo al nuovo romanzo di Nicola H. Cosentino, pubblicato da una casa editrice come minimum fax, che non smette di sorprendere i lettori con le sue proposte sempre di grande qualità (pagg. 393, euro 18). Questa è la terza prova narrativa dello scrittore nato a Praia di Mare, che vive a Cosenza, dopo il debutto con “Cristina d’ingiusta bellezza” e il fortunato “Vita e morte delle aragoste”, premiato con. il Brancato Giovani nel 2018.

Proprio le “ghost tracks” sono il simbolo della vita di Valerio Scordìa, il protagonista delle “Tracce fantasma”. Un trentottenne che ha suonato la chitarra nella band dei Tadarida e poi si si è fatto da parte proprio mentre la carriera del loro cantante, Giacomo Irrera, spiccava il volo per conquistare folle osannanti di fan. Proprio mentre Valerio non poteva fare a meno di stroncarlo in un articolo pubblicato su una rivista musicale Pezzo, peraltro, onesto, visto che a comporlo è stato un millenial ormai deluso e cinico, incapace di uscire dalla bolla dei suoi ricordi. Aggrappato alla musica che lo aveva emozionato molto anni prima, e che ancora conserva sotto forma di vinili-feticcio attaccati alle pareti del suo appartamento: “Automobili” di Lucio Dalla, “Panama e dintorni” di Ivano Fossati, l’introvabile “Tato Tomaso’s Guitars” di Ivan Graziani, ma anche “Rank” degli Smiths” con il grande Johnny Marr alla chitarra.

Valerio non rifiuta soltanto la musica del suo tempo. Tanto da fare fatica ad accettare che nuove proposte, tutte molto attente alle variazioni sismografiche del mercato, possano entusiasmare gli ascoltatori. Finisce, così, per graffiare con sempre più acido distacco la contemporaneità delle sette note. Fatica perfino a non confondere l’arte con la vita reale. E continua a inseguire il fantasma di Anna, la ragazza che forse ha amato di più, ma non ha saputo trattenere, quasi senza accorgersi che il suo presente abita a pochi metri di distanza. Si chiama Mirella e, probabilmente, aspetta soltanto che lui si decida a uscire dalla sua bolla fatta di ricordi e nostalgia, di malinconia e incapacità ad arrendersi alla gioia.

Scritto con un efficace stile meticcio, dove in un crossover linguistico si fondono in grande equilibrio registri stilistici alti e tipici toni colloquiali della contemporaneità, fatti di scambi di messaggi, di mail, di dialoghi molto informali, “Le tracce fantasma” è un romanzo che compone un ritratto limpido, a tratti feroce, ma godibilissimo di una generazione che ha rischiato di perdere se stessa. Stritolata tra un passato che non passa mai, un presente fin troppo deludente e un futuro fatto a forma di punto interrogativo.

“Nel mio romanzo volevo ci fosse una sensazione forte di non contemporaneità – spiega Nicola H. Cosentino, che è stato ospite con ‘Le tracce fantasma’ del Festival Più libri più liberi alla Nuvola di Roma -. Perché c’è tutta una generazione di persone, quella dei cosiddetti millennials, che ha vissuto in prima persona questo passaggio dall’analogico al digitale, e poi di nuovo all’analogico. Ma ha attraversato anche un cambiamento culturale, il riflusso nel privato che è diventato impegno politico e ancora riflusso. Basterebbe pensare agli anni ’80, con la loro sfrenata spensieratezza, piombati poi nel terrore degli anni bui per rielaborare con impegno e fatica una certa nuova via alla felicità”.

Valerio Scordìa è un personaggio a cui è stato sottratto un tempo tutto suo?

“Sì, lui è proprio il rappresentante della generazione nata tra gli anni ’80 e ’90. Che ha vissuto costantemente divisa tra il tempo consumato da chi li precedeva, con tutte le loro ambizioni, e quello di chi è arrivato dopo, con il suo strascico di disillusioni. È come se ai millenials non fosse stato concesso un tempo tutto loro. Perché si sentono, sempre e comunque, fuori tempo. Mi sembrava una buona idea proiettare Valerio Scordìa nel mondo della musica, perché lui per professione e per passione dev’essere sempre informato. Attento alle novità. Ma il fatto di essere un bravo chitarrista e un ottimo critico musicale non significa che deva rinunciare a se stesso. Ai suoi amori e ai fastidi che prova verso certi nuovi divi delle sette note troppo attenti al mercato”.

La musica è un acceleratore di sensazioni?

“La musica è una forma d’arte che parla a tutti, al di là dei gusti e delle competenze. C’è chi coglie il suo aspetto danzante, chi la utilizza per immaginare e poi visualizzare scene di un libro o di un film. E se vuoi cercare di definire una generazione, è senza dubbio lo strumento più potente. In particolare, se desideri dare corpo a un personaggio abitato dalla nostalgia. Basterebbe pensare al cast del Festival di Sanremo 2023, un perfetto ritorno al passato con I Cugini di Campagna, Anna Oxa, Paola e Chiara, accanto a molti cantanti nuovissimi. Non riuscire a capire che cosa accade nella musica di oggi significa non essere capaci di leggere il presente. E, di conseguenza, appartenere a un tempo passato. La musica è una macchina del tempo capace di muoversi tra presente, passato e futuro”.

Valerio è il prototipo dei millennials?

“È un cinico anche perché la sua generazione, che in parte è anche la mia, è cresciuta sull’onda di una grande allegria. A cui, poi, ha dovuto rinunciare. La catastrofe della distruzione di tutte le aspettative, dei sogni e della gioia, ha portato i millennials a reagire schermandosi dietro la barriera del disincanto. La loro visione della vita è del tutto cinico. A differenza di quella delle nuove generazioni, che riscoprono i sentimenti e non hanno paura a confessarlo. Adesso, anche noi siamo disposti a seguirli, perché siamo stufi del nostro stesso guardare il mondo sempre con distacco”.

Ha scelto uno stile frastagliato, meticcio, per questo romanzo?

“Una scelta spontanea. Potrei dire scontata. La storia realista, che contiene in sé degli elementi di realismo magico, racconta il divenire di un personaggio che vive in una metropoli, fa fatica a riconoscere il presente, ma si muove bene nel mondo contemporaneo. È un giornalista culturale che utilizza tutti gli strumenti elettronici di cui siamo dotati: scrive gli articoli al computer e li condivide on line, scambia informazioni attraverso le mail, si tiene in contatto con le persone inviando messaggi dal telefono. Quindi, anche lo stile di scrittura non poteva non essere contaminato con gli strumenti della astruttura narrativa che accompagna tutti noi, ogni giorno. È stato molto divertente calare la storia in un magma stilistico, linguistico assai prossimo alla vita reale”.

C’è un qrcode, alla fine del romanzo, per ascoltare i brani evocati dalla storia. Com’è la sua formazione musicale? 

“Sono appassionato di musica, ma non mi sento un nerd. Mi lascio andare alle emozioni dell’ascolto e all’importanza della risonanza di un brano. Altrimenti credo non sia possibile capire perché un pezzo come ‘T’appartengo’ di Ambra crei ancora oggi un effetto nostalgia fortissimo. Per me non ha un grande valore musicale, ma riconosco che possa scatenare emozioni sopite. Non ho barriere quando ascolto musica ed è davvero una passione pura. Anche Valerio ha dei gusti strutturati, ma poi usufruisce delle mie passioni di chitarrista amatoriale. Che rispetto a lui suona da schifo”.

I suoi lettori sono soprattutto nostalgici?

“Alle presentazioni del libro vengono sempre persone che assomigliano a Valerio. E che sperano di sentir citare cantanti e gruppi amati dalla loro generazione. Qualche padre porta anche il figlio per capire se si può trovare un punto d’incontro tra la musica che amava lui e il rap, la trap. Ecco, credo che la musica sia una macchina del tempo perfetta. Perché ci fa capire che la nostalgia, il non capire il tempo presente, è la risposta stessa al nostro sentirci fuori ruolo. Altrimenti, rimane un’unica altra via: cercare di capire, ascoltando passivamente il suono del presente. Ma io credo che esser adulti significhi il saper accettare proprio di non capire”.

Quando si è innamorato della scrittura?

“Ho sempre scritto perché mi divertiva farlo. Non avevo ambizioni strutturate, all’inizio: scrivevo raccontini, giocavo a impaginare dei libri, piccole sceneggiature, storie a fumetti, sceneggiature per la classe. Adoravo soprattutto inventare personaggi, più ancora di immaginare o sviluppo delle loro vite. Ancora adesso, dare forma a profili di gente immaginaria è la cosa che preferisco. Poi, a un certo punto, il gioco è diventato una priorità assoluta: quella di scrivere veri romanzi”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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