• 16/09/2019

Eugenia Rico, l’amore è più forte della Morte

Eugenia Rico, l’amore è più forte della Morte

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La Morte ha un grande vantaggio sugli esseri umani. Quando porta via con sé qualcuno che ci è caro, prova a far naufragare nel dolore anche la voce di quella persona. I suoi sorrisi, le parole che ha detto, i sogni e le malinconie. Prova a insinuare, insomma, un’ombra buia nei nostri ricordi. Per farci sentire ancora più soli. Per convincere tutto noi che il tempo dello stare insieme, del condividere gli stessi respiri e i pensieri, la luce del sole e il fascino cieco della nebbia, non tornerà mai più. E nessuna stregoneria, nemmeno l’esorcismo più potente, sarà in grado di traghettarci oltre il nulla della mancanza. Dell’assenza.

Eppure, la Morte perde quel vantaggio quando uno di noi, uno solo, si aggrappa alle parole. Forma, ricordando, agglomerati di sensazioni, di ricordi. Schegge di un passato che può ritornare a vivere. Dentro la nostra memoria, nei misteriosi percorsi del pensiero. In un tempo che annulla passato, presente e futuro, ma galleggia in un continuum dove l’assenza diventa dolce, disperata presenza. Ed è qui, in questo impasto temporale che arresta l’avanzare inesorabile delle lancette dell’orologio, che Eugenia Rico ha saputo costruire uno dei suoi romanzi più emozionanti e belli. Si intitola “La morte bianca”, in Spagna è uscito nel 2002, portando subito alla ribalta la scrittrice di Oviedo, segnalata dalla critica con il Premio Azorín. E, adesso, arriva anche nelle librerie italiane, tradotto da Sebastiano Gallo per Elliot (pagg. 151, euro 16).

Molti lettori italiani conoscono già il talento di Eugenia Rico. La traduzione de “Gli amanti” nel 2017, e de “Il sentiero del diavolo” nel 2018, pubblicati sempre da Elliot, hanno attirato sulla scrittrice spagnola gli occhi degli organizzatori del Festival Incroci di Civiltà. Così, la Venezia che lei tanto ama, e dove vive con il marito e la figlia, l’ha premiata nel 2018 con il Bauer Giovani, assegnato ogni anno ai più interessanti autori emergenti sparsi nel mondo. Adesso, “La morte bianca” conferma in pieno il grande talento di questa narratrice che ha una laurea in Legge, e che negli Stati Uniti si è aggiudicata l’International Writing Program dell’Università dello Iowa.

E se “Gli amanti” aveva spinto Eugenia Rico sulle tracce di un equilibrio assai complesso tra amicizia amore, di un triangolo complesso e pericoloso tra due uomini e una donna, se “Il sentiero del diavolo” l’aveva portata a viaggiare in un passato dove le donne venivano accusate di commerci con il diavolo, ma dove un inquisitore illuminato era pronto a smantellare la grande bugia costruita dalla Chiesa contro le presunte streghe, “La morte bianca” affronta con grande coraggio e delicatezza il tema della morte di un fratello. La fine prematura di un ragazzo, di un piccolo angelo con fattezze umane.

Sedici anni sono troppo pochi per dire addio alla vita. Ma quando Germán Rodríguez Olvidado viene trovato morto, a pancia in giù, mentre tenta di imparare a nuotare, per la sorella si apre un baratro. Perché lei, che ha un anno più di lui, non ha mai messo in conto di vederlo sparire così presto. E, comunque, non prima di avere costruito una lunga esistenza insieme. Non prima di avere esplorato gli angoli più nascosti della vita. Non prima di avere accettato la realtà, dove non sempre i sogni fatti da ragazzi si avverano. Perché talvolta rimangono soltanto le illusioni, ma stando insieme si può sorridere anche aggrappandosi a quelle.

Non si può dare voce al dolore per la morte di un ragazzo di 16 anni. Perché è più facile l’afasia, il pianto sfrenato, il rinchiudersi nell’oscurità di un dolore cieco. Eppure lei, la protagonista che costruisce un monologo lungo un libro, deve trovare la forza di fare proprio quella magia. Mettere le parole una accanto all’altra. Ricostruire la vita di Germán lasciando che siano i ricordi ad abitare le pagine. Anche quando gli occhi si rifiutano di guardare il mondo attorno, perché non ha più senso usare la vista se lui non c’è più.

Ed è proprio lì, nelle parole che prima scorrono piano, come in un balbettare incerto e senza orizzonte, ma poi cominciano a fluire sempre più rapide e piene di energia, che la sorella trova la forza di non lasciar morire davvero il suo amato Germán. Perché lui abita in tutte quelle stanze del tempo che stanno esattamente accanto al nostro presente. Basta aprire la porta, entrare in punta di piedi, lasciarsi travolgere dalla forza di un amore fraterno che può sfidare senza paura la Morte. Ma anche l’oblio. E quel costringersi a dimenticare ogni giorno un po’ di più, per riuscire a vivere ancora.

Dare un nome ai ricordi può essere molto doloroso. Perché la sorella de “La morte bianca” non può dimenticare che il dolore ha spinto i genitori, i parenti, a pronunciare parole terribili. “Perché non sei morta tu?”. Lui era bello, buono, generoso, allegro. Lui era la vita, ed era maschio. E, allora, forse sarebbe stato meglio che la Morte portasse via la femmina. Una in meno, chi se ne sarebbe corto? Ma proprio a questo servono le parole, scrive Eugenia Rico: a non illudersi mai che la vita sia diversa da quello che è. E a non lasciarsi ipnotizzare da chi dice di avere le risposte alle nostre domande. Perché bara, come un misero giocatore di poker con carte scadenti in mano.

Doloroso e luminoso come i romanzi più belli di Annie Ernaux, “La morte bianca” dimostra come la letteratura sia ancora capace di raccontare quanto difficile e bello sia attraversare i territori di quel pianeta sconosciuto che chiamiamo vita. Perché sono proprio lì, nei giorni che passano, nei sorrisi che ci accompagnano, nelle parole che diciamo e ascoltiamo, nei gesti all’apparenza banali, inutili, che stanno le risposte alle nostre domande. Però, solo gli scrittori più bravi, come Eugenia Rico, sanno trovare il modo giusto per nasconderle dentro una storia. Perché l’amore può essere più forte della Morte.

<Alessandro Mezzena Lona<

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