• 11/06/2020

Hans Tuzzi, verso Itaca con un eretico narrare

Hans Tuzzi, verso Itaca con un eretico narrare

Hans Tuzzi, verso Itaca con un eretico narrare 1024 360 alemezlo
La letteratura è necessità, non mestiere. E Hans Tuzzi non si stanca di credere che chi vuole scrivere e pubblicare libri deva trovare il coraggio di apparire anacronistico. Perché è meglio smarrire la sintonia con un “mondo tutto etichette e poca sostanza”, esercitare un sano distacco aristocratico, che ritrovarsi incatenati a una realtà fatta di sciocchi rituali e ancora più vuoti soprassalti di vanità. Il “modo più nobile di essere uomini”, per lo scrittore nato a Milano da una famiglia di origine triestina, è quello di risultare inutili.
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È per questo che, a ogni nuovo romanzo di Hans Tuzzi (nome che Adriano Bon ha preso in prestito da un personaggio dello scrittore austriaco Robert Musil) molti fedeli lettori scoprono di avere cercato inutilmente, su altre spiagge letterarie, un succedaneo dell’intenso piacere che regalano i suoi libri. Senza trovarlo. E non basta andare a rileggere l’ormai cospicuo ciclo di storie che hanno per protagonista il commissario, diventato poi vicequestore, Norberto Melis. E non serve nemmeno regalarsi qualche giornata di puro godimento con la trilogia centrata sull’agente segreto Neron Vukcic. Pallida consolazione, poi, può apparire perfino rituffarsi tra le pagine di “Vanagloria”, quel gioiello di scrittura e di inventiva libera pubblicato nel 2012, che una piattaforma di vendita on line (non diremo il nome per carità di patria) ha etichettato alla voce “Gialli, thriller, horror”.

Per fortuna, in questo disgraziato segmento di 2020, Hans Tuzzi è venuto in soccorso dei suoi lettori più scalpitanti con un romanzo nuovo. Si intitola “Nessuno rivede Itaca”, lo pubblica Bollati Boringhieri (pagg. 281, euro 15). E richiede una lettura totale. Non di quelle che si fanno di solito, con un occhio allo schermo del cellulare e l’altro che vaga spesso oltre l’orizzonte della pagina per vedere se c’è il sole o se piove. Tanto per essere chiari, il riassunto ospitato dal risvolto di copertina è soltanto un brodino liofilizzato. Una di quelle pastigliette che sostituiscono il cibo degli astronauti quando li sparano al di là dell’atmosfera terrestre, rispetto a ciò che il libro in realtà contiene.

“Nessuno rivede Itaca” è il titolo di un romanzo. Inedito. Un libro bizzarro, fatto di storie personali e sguardi ad ampio raggio sulla realtà, sulla Storia, che lo scrittore Massimo lascia in dono a Tommaso, figlio di una coppia di suoi amici, il giorno del suo cinquantesimo compleanno. Insieme a una scatola piena di foto e cartoline.

Un libro incompiuto, quello di Tommaso. Ma già nel titolo contiene una sorta di gioco di parole, un enigma tutto da decifrare. Perché “Nessuno rivede Itaca” può essere letto come un riferimento esplicito al personaggio di Omero. All’Ulisse dell’Odissea che, dopo aver ingannato il ciclope Polifemo cambiando il proprio nome, riapproda sul la sua amata isola alla fine di uno straordinario viaggio iniziatico. Ma, al tempo stesso, contiene in sé anche un’altra indicazione. Quella che parla della giovinezza di tutti noi. Di un tempo che ci viene concesso di vivere una volta sola. E che non si ripeterà mai più. Perché Itaca è il simbolo del tempo che abbiamo attraversato, amato e odiato, desiderato e perduto. L’incarnazione stessa di attimi irripetibili.

Così, in “Nessuno rivede Itaca” le vite di Massimo e di Tommaso corrono parallele, si intrecciano e si allontanano. Segnano sulla carta le proprie differenze, con l’uso di caratteri tipografici diversi, e si riavvicinano proprio per le loro difformità. Il primo è un musicista che ama in maniera smodata le donne. E forse, proprio per questo, non riesce a costruire con loro un rapporto duraturo. L’altro è uno scrittore omosessuale che non teme di mettersi di traverso sulla strada di un mondo che ha sempre fatto fatica a capire. E lo dice subito, senza troppi giri di parole: “Il mio mondo non è il vostro. Se accetti questa premessa, continua a leggere pure. In caso contrario, non iniziare nemmeno”.

C’è tutto Hans Tuzzi scrittore in questo lapidario avviso. Perché “Nessuno rivede Itaca” è un libro scritto per necessità, non per mestiere. E allora bisogna mollare gli ormeggi, per prepararsi a una navigazione lunga e tutt’altro che comoda, soltanto se si è disposti ad accettare la sfida. Come il guanto lanciato in faccia, che dava il via a un confronto all’ultimo sangue, a un duello, il romanzo stratifica storie e provocazioni, ragionamenti e incursioni nella filosofia, nella Storia, nella grande letteratura del passato. Allinea la saggezza nevrotica dei Peanuts, i bambini a strisce inventati dal fumettista statunitense Charles M. Schulz, alle sulfuree provocazioni del mago inglese Aleister Crowley, detto la Grande Bestia. Quello che scandalizzò i notabili fascisti, tanto da farsi espellere negli anni Venti dalla Sicilia, dove aveva istituito la comune dell’Abbazia di Thelema, per andarsene poi in Marocco, terrorizzare tutti disegnando attorno a sé il cerchio magico. E farsi possedere dal demone 333, il temibile Choronzon.

Ma chi legge il romanzo di Hans Tuzzi dev’essere pronto anche a ripercorrere i passi perduti dell’Impero austro-ungarico e seguire lo scrittore nell’analisi storico-teologica dell’appropriarsi, da parte delle religioni monoteiste, del concetto di Dio. Che, rinchiuso dentro i confini claustrofobici del dogma, finisce per autorizzare le più ardite professioni di ateismo. Da non confondere con l’agnosticismo, che proprio nell’affermare l’incapacità della mente umana di conoscere l’assoluto si avvicina alla gnosi. Alla conoscenza superiore di origine divina.

Non mancano i momenti di puro divertimento, nel romanzo. Come quando Massimo non esita a definirsi uno scrittore mai votato ad accalappiare lettori “perché non li cerca”. Dal momento che, ormai, chi acquista i libri lo si considera “poco meno di un bambino, un ebefrenico o un analfabeta”, desideroso soltanto di essere assecondato nel suo desiderio di romanzi di successo “ordinariamente prevedibili”. Dove non devono mancare “personaggi positivi, un lieto fine e naturalmente una morale ben dichiarata con scritte al neon”. In altre parole, “pattume d’attualità”.

Hans Tuzzi, per bocca di Massimo, lancia anche uno sguardo lucido e tagliente sulla gestione del Potere. Quando, rivolgendosi ai politici, chiede loro: “Pensate sia più facile governare un mondo fatto di masse idiote programmate per desideri da piccioni – scopare, mangiare – e gusti estetici che non vanno oltre la playstation?”. Frustate che lo scrittore milanese non risparmia al nostro tempo perché convinto che “la sola vita che merita d’essere vissuta, o è eretica o non è”.

Costruito come un ribollire di storie, di citazioni (da Leopardi a Kafka, dal Petrarca dei Fedeli d’Amore a Borges, dagli evangelisti al grande Bardo Shakespeare), suggestioni, ragionamenti, scritto utilizzando una lingua altissima che sa farsi popolare e anche molto esplicita (nella descrizioni delle avventure omosessuali di Massimo, nel racconto della demonizzazione di certe pratiche sessuali esorcizzate dopo l’avvento del concetto di peccati della carne), “Nessuno rivede Itaca” è un romanzo in cui si riflette il profilo suggente del mondo. È un viaggio metaletterario che racconta i ritmi e i riti della vita. Che insegue la giovinezza con nostalgia e diffida della realtà, dal momento che il visibile contiene in sé il seme stesso dell’inganno.

E se Corrado Augias ha voluto mettere in chiaro che “Hans Tuzzi è scrittore prima che giallista”, adesso è arrivato il momento di affermare che l’autore milanese è scrittore proprio perché sa inventare anche trame poliziesche. Storie che vanno sempre al di là del banale intrattenimento. Oltre la sciarada del chi ha ammazzato chi. Dal momento che i suoi libri, tutti, contengono un pezzetto della chiave che permette di aprire altre porte.

Verso un altrove. Verso una Itaca tutta da immaginare.

<Alessandro Mezzena Lona<

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