• 04/09/2021

Campiello 2021: vince la più giovane, Giulia Caminito

Campiello 2021: vince la più giovane, Giulia Caminito

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Ha vinto la più giovane. Giulia Caminito, 33 anni, arrivata al terzo romanzo, ha conquistato la giuria popolare (su 300 hanno votato in 270) del Premio Campiello numero 59. Novantanove le preferenze che ha incassato il suo “L’acqua del lago non è mai dolce” (Bompiani). Al secondo posto, quello che potremmo definire l’enfant du pay Paolo Malaguti, padovano di Monselice, che si è fermato a 80 voti con “Se l’acqua ride” (Einaudi). Terzo Paolo Nori con il dostoevskijano “Sanguina ancora” (Mondadori), 37 preferenze. Ultimi due posti per due opere bellissime: “La felicità degli altri” di Carmen Pellegrino, che era già stata finalista nel 2015 con “Cade la terra”, ferma a 36; “Il libro delle case” di Bajani (Feltrinelli) con 18 voti.

Quest’anno, il Premio Campiello ha voluto stupire i suoi finalisti (tutte le cinque interviste  le trovate su questo blog Arcane Storie) e gli ospiti. Organizzando la conferenza stampa dei cinque finalisti nello splendido Fondaco dei Tedeschi, a picco sul Canal Grande. E con vista sul Ponte di Rialto. E poi, ha spostato la serata finale (dopo Palazzo Ducale, il Teatro La Fenice, piazza San Marco), in un luogo metafisico, che avrebbe fatto catturato l’immaginazione del pittore belga Paul Delvaux: l‘Arsenale di Venezia. In una serata condotta dalla brava Andrea Delogu e resa frizzante dagli interventi di Lodo Guenzi, la voce de Lo Stato Sociale. La band che nel 2018 ha fatto ballare l’Italia intera, classificandosi al secondo posto al Festival di Sanremo con “Una vita in vacanza”.

Dopo due romanzi sostanzialmente di impianto storico, Giulia Caminito ha voluto scrivere con “L’acqua del lago non è mai dolce” quello che lei stessa ha definito “una parabola anti-formativa”. La storia di Gaia, figlia di una donna contro cui la vita sembra accanirsi in continuazione. “Visto che il marito resta paralizzato in un incidente sul lavoro. I quattro figli, a turno, le creano non pochi problemi E lei stessa deve accettare di andare a vivere nell’enorme periferia di Roma”. Così, finisce per scaricare sulle spalle di Gaia la speranza di un riscatto. Crocifiggendola a un’aspettativa che non sarà affatto facile realizzare. Visto che tutti i suoi amici e compagni di scuola partono da una condizione economica assai più facile. “Ho indossato le scarpe rosse, nella serata finale – ha voluto precisare – come simbolo della speranza che tutte le donne possano sempre scrivere quello che sentono”.

Libri pop o vera letteratura? Romanzi da leggere in spiaggia, durante le vacanze, come suggeriva ogni anno Philippe Daverio da giurato del Premio Campiello, oppure opere che lascino un segno nel nostro immaginario? E, magari, tra le pagine dei futuri saggi sulla produzione letteraria di questo tempo. La questione è stata riproposta, ieri, con grande forza da Carmen Pellegrino. La scrittrice di Postiglione degli Alburni, che vive a Napoli, non ha nascosto il fatto che il suo libro “La felicità degli altri” affronti i temi del dolore, della solitudine, dell’abbandono e della sparizione di persone senza che nessuno se ne accorga. “La storia del Professor T, il mio personaggio, ha preso forma grazie a una notizia di cronaca. Quella di un uomo trovato morto in casa a Venezia dopo molti anni, senza che nessuno notasse la sua assenza dalla vita di ogni giorno”.

Ma agli editori, ha detto Carmen Pellegrino, piacciono più le storie con un finale rassicurante. “Ed è strano – ha aggiunto -. Anche perché le serie tv più fortunate, più amate, propongono trame non certo consolatorie. E, quasi sempre, non lanciano messaggi rassicuranti. E allora perché si tenta di snaturare la letteratura? Che, da sempre, non vuole entrare in maniera invasiva nella realtà, ma racconta, analizza l avita dei personaggi. Io, ad esempio, da sempre voglio dare voce al fatto che non solo abbandoniamo i luoghi, ma perfino nei paesi, nei piccoli centri lontani dalla metropoli, non riusciamo più a creare una comunità. Ci allontaniamo sempre di più gli uni dagli altri”.

Lo stesso Paolo Malaguti, con “Se l’acqua ride”, in fondo ha saputo far capire ai lettori quanto in fretta sia stata archiviata un’epoca, un mondo come quello dei barcari che trasportavano merci sui loro burchi attraversando tutto il Nord Italia da Cremona fino a Trieste. “Il salto verso il futuro, un’accelerazione tremenda e irreversibile, ha portato la società a consegnarsi al mondo dei consumi, delle file di camion sulle autostrade piene di prodotti da consegnare, senza possibilità di conservare memoria di quel tempo, di quelle persone. Io stesso, che vengo dalla Bassa Padovana, ho dovuto studiare, documentarmi, fare un gran lavoro di riappropriazione delle parole, dei gesti, della memoria, del modo di essere di un mondo che mi sembrava irrimediabilmente dimenticato. Ho dovuto ritrovare la lingua di Ganbeto, di suo nonno Caronte, prima ancora di costruire la trama del libro”.

Andrea Bajani, lo scrittore che forse più degli altri, in questa cinquina, può rivendicare il suo aver dedicato alla letteratura non solo tutta la sua passione e inventiva, ma anche il coraggio di rimettere sempre in discussione la forza e la lingua dei romanzi che ha scritto, ha voluto citare Daniele Del Giudice per definire il percorso intrapreso nello scrivere “Il libro della case”. Quell’autore, premiato quest’anno con il Campiello alla carriera pochi giorni dopo la sua morte, che in libri importanti come “Staccando l’ombra da terra”, “Atlante occidentale”, “Lo stadio Di Wimbledon”, aveva individuato nelle parole “esattezza” e “sentimento” le coordinate su cui muoversi. “Ecco, ho cercato proprio di far diventare il caos che governa la vita qualcosa di esatto, ma al tempo stesso di imperfetto proprio per l’emozione che governa sempre la scrittura”.

Come ha detto Ernesto Franco, amico di Daniele Del Giudice e a lungo figura centrale della casa editrice Einaudi, non sentimentalismo ma sentire. Perché solo sentendo il silenzio della case, ascoltando quel loro apparente e imperturbabile mutismo, Andrea Bajani ha saputo entrare nel mondo del protagonista: Io. Un uomo che non. ha bisogno di nome, se non quello del pronome più abusato, per ripercorrere le tappe della sua vita ripercorrendo la sequenza dei luoghi che ha abitato. “Parliamo tutti troppo – ha spiegato -, per questo le case ci sembrano soggetti sordi, muti. Eppure, se ci concedessimo più spesso l’esercizio del silenzio, l’astinenza dalle parole, finiremmo per trovare in quell’apparente vuoto tantissime storie”.

E poi, non dimentichiamo che la letteratura è quella straordinaria creatura partorita dall’immaginazione umana che può far sanguinare di passione un cuore per tutta la vita. Come quello di Paolo Nori, che da quando ha cominciato a legger i romanzi di Fëdor Dostoevskij non ha più smesso di frequentare i suoi capolavori. E di approfondire, anche da traduttore e da professore, i migliori nomi della narrativa e della poesia russa. Una lunga storia d’amore, innescata da “Delitto e castigo”. “La prima volta l’ho letto che avevo 15 anni. Eravamo nella casa di campagna, il libro era di mio nonno e non aveva nemmeno la copertina. Eppure, leggendolo, mi sono trovato a chiedermi in sintonia con Raskol’nikov: ma io sono come un insetto o come Napoleone? Da allora, ho capito che quel romanzo, quello scrittore erano riusciti ad abbattere la tradizionale distanza tra chi scrive e chi legge”.

Premiata per l’Opera Prima con un volume di racconti, “Dieci storie quasi vere” (Nutrimenti), Daniela Gambaro ha fatto sapere che per il momento non intende cambiare strada per misurarsi con la forma romanzo. “Ho già l’idea per un secondo libro, e credo che sarà fatto ancora di storie brevi. In cui credo moltissimo. E non voglio abbandonare”.

Diciotto anni, una grande voglia di seguire anche in futuro la strada della scrittura, Alice Scalas Bianco da Vigevano ha vinto il Campiello Giovani con “Ritratto di Parigi”. E nel ringraziare chi l’ha sostenuta e aiutata, come “le mie prof”, non ha dimenticato di citare gli altri quattro finalisti “che sono diventati più che compagni di viaggio: amici”. Un messaggio bellissimo che arriva in un momento in cui si cerca di convincere i ragazzi ad arrivare al successo, con tutti i mezzi. Anche calpestando chi incontreranno sulla loro strada.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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