• 16/09/2023

Benedetta Tobagi, un Campiello tra Storia e resistenza delle donne

Benedetta Tobagi, un Campiello tra Storia e resistenza delle donne

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Che dire? L’Italia vota a destra, ma ha nostalgia di un’altra Italia: quella con la schiena dritta. Quella che scriveva una Costituzione esemplare, che si ribellava alla dittatura del fascismo, alla ferocia del nazismo. E allora il Premio Campiello 2023 incorona “La resistenza delle donne” (Einaudi) di Benedetta Tobagi. Un saggio storico, non un romanzo (e questo è un segnale che il premio veneziano lancia ai romanzieri) costruito con piglio narrativo e con precisione da ricercatrice universitaria, che ha stregato la giuria popolare. Su 288 votanti, 90 preferenze sono andate a lei. A contenderle, fino all’ultimo, il successo è stata Silvia Ballestra con “La Sibilla” (Laterza). Seconda con 80 voti, ha voluto mettere assieme un viaggio storico nella vita di una grande pasionaria della letteratura, partigiana e femminista: Joyce Lussu. La serata della 61.a edizione è stata condotta, al Teatro La Fenice di Venezio, come l’anno scorso da Francesca Fialdini e Lodo Guenzi

Decisamente staccati gli altri tre scrittori in gara. Marta Cai con “Centomilioni” (Einaudi) ha incassato 57 preferenze, Tommaso Pincio con “Diario di un’estate marziana” (Giulio Perrone Editore) con 46 voti. Staccatissimo Filippo Tuena, con “In cerca di Pan” (nottetempo) che si è fermato a 13 preferenze. Dodici dei componenti della giuria popolare non hanno espresso voti, due sono state le schede bianche.

Emozionatissima, Benedetta Tobagi ha voluto dedicare il Premio Campiello 2023 a “tutte le donne che resistono”. E, insieme a loro, a tutte le partigiane coraggiose che hanno aperto la strada in Italia ha chi ha voluto ribellarsi, e ancora lo fa, alle regole claustrofobiche della società patriarcale.

Benedetta Tobagi, con il suo libro, ha creato un ponte tra il passato e il presente. “Dopo l’8 settembre del 1943, le donne per la prima volta vogliono partecipare alla Storia. In prima linea. Da decenni le donne erano tenute sotto le suole delle scarpe, anche perché il fascismo era l’erede di una società di tipo fortemente patriarcale. E potremmo discutere se la nostra società, oggi, si sia per davvero liberata da quelle catene. Potremmo dire che le storie delle nostre partigiane potremmeo sintetizzarle con uno slogan: come ti faccio fesso il nazifascismo. Perché, acquistando una grande convinzione in se stesse, capiscono che possono farla franca con gli uomini fascisti e nazisti usando anche il loro fascino. Tutto il loro carisma femminile per fare in modo da evitare, per esempio, i posti di blocco, le perquisizioni. Loro lottavano non solo per la liberazione dalla dittatura, ma anche per l’emancipazione femminile”.

Sintonizzandosi con Joyce Luce, scrittrice, partigiana, femminista radicale, Silvia Ballestra ha voluto ripercorrere la vita intensissima della “Sibilla”. Non una strega, ma una donna che aveva un ruolo centrale della società. “Sono passati un po’ di anni dalla morte di Joyce. Ho parlato di lei in tante occasioni, l’ho amata da lettrice, e a un certo punto ho voluto farla rivivere, conoscere, riscoprire, anche facendo il mio lavoro di narratrice. Per me non è una figura del passato, ma la considero un presente storico. Una storia importantissima per l’Italia democratica. Quando incontrava una persona, le chiedeva: tu che cosa fai per cambiare il mondo? Nonb si è mai rassegnata a una deriva che si arrende ai lati peggiori degli uomini e delle donne. Della società”.

Nella vita di Teresa, che non ha mai amato, che ha condotto la sua vita “come un sogliola, sul fondale”, e all’improvviso pensa di poter realizzare una storia felice insieme al suo ex allievo Alessandro, Marta Cai ha voluto proiettare “una storia di solitudine, piccola, di dolore saussurrato. Eppure molto forte. Dove germogliano illusioni, che sperano sempre di modificare la realtà. Ma, in agguato, c’è sempre la paura, che rischia di spegnere il desiderio. Ho cominciato scrivere questo libro quando ho capito che avrei affrontato un grande cambiamento nella mia vita. Forse è stato anche un modo per salutare una parte di me che stavo lasciando, anche con amore”.

Tommaso Pincio, seguendo le tracce di Ennio Flaiano, ha finito per scrivere il “Diario di un estate marziana” in cui si rispecchia lo scrittore, ses stesso e il loro controverso sentimento per Roma. “Voglio bene a Ennio Flaiano, come persona non solo come scrittore. Nel momento in cui ho pensato di dedicare a lui un libro, non volevo tanto bene alla mia città: Roma. Era stato per parecchi mesi lontano dalla mia città, all’estero, bloccato all’estero durnte il periodo della pandemia. Quando sono ritornato l’ho trovata molto cambiata. E per riabituarmi ho dovuto fare un grande sforzo. Proprio come lui, che faceva fatica ad abbandonare Roma ma, al tempo stesso, non poteva impedirsi di odiarla. Anche se ha un fascino incredibile, di cui hanno parlato Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia e tanti altri. Io ho fatto l’Accademia di Belle Arti, sognavo di diventare un artista. E poi, mi sono dedicato alla scrittura. Facendo un percorso un po’ simile a quello di Flaiano, che ha affiancato alla letteratura il cinema. E la letteratura ha questa forza incredibile: ti fa vedere le cose che non hai davanti agli occhi”.

In cerca del dio Pan, Filippo Tuena ha voluto miscelare alla scrittura le immagini, alla poesia la prosa. “Il mio libro parla di mitologia, di un passato remoto che spesso è stato raccontato per frammenti. Volevo lavorare sulla fantasia, dopo tanto tempo in cui mi ero dedicato ad altri progetti letterari. E il mio viaggio è diventato un ponte tra la nostra esperienza passata con quello che dobbiamo ancora scoprire e conoscere. Gli antichi greci sapevano sintonizzarsi con la Natura per poi cristallizzare alcune storie in forma di mito”.

Quest’anno il Premio alla carriera, il Campiello l’ha voluto dedicare a Edith Bruck. Scrittrice, poeta, traduttrice, regista di origine ungherese che vive da tan tissimo tempo in Italia. Sopravvissuta alla deportazione nazista, ha ricevuto il riconoscimento con grande emozione, per “la sua esemplare parabola umana e artistica. È stata una staffetta dei suoi valori nel secolo che stiamo attraversando”. Il suo libro più recente, pubblicato da La nave di Teseo, è “La rondine sul termosifone”. “C’è sempre una luce di speranza”, ha detto dedicando il suo pensiero ai giovani. “Anche quando sembra di attraversare il buio più assoluto”.

Emiliano Morreale ha vinto il Campiello Opera Prima con il romanzo “L’ultima innocenza” (Sellerio). “Il timore, facendo da decenni lo storico del cinema – ha detto – era che il libro passasse come un omaggio alla settima arte. E non un’opera narrativa, com’è, composta da sei storie che si intrecciano proprio con altre storie legate alle immagini in movimento”.

Il Premio Campiello Giovani è andato a Elisabetta Fontana, 21 anni di Como, con il racconto “Sotto la pelle”. E, non c’è dubbio, che tra i suoi sogni ci sia quello, forte, di diventare una scrittrice.

<Alessandro Mezzena Lona

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