• 26/03/2022

Mary B. Tolusso, versi da un universo “Apolide”

Mary B. Tolusso, versi da un universo “Apolide”

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“Tu dici che ogni follia è lucida / come un coltello, che ogni cosa vive, cresce / non si può fermare, eppure non ho colpa / se mi hanno dato un nome”. Forse è chiusa dentro questi pochi versi la chiave che permette di spalancare una finestra sul mondo poetico di Mary B. Tolusso. Oppure è proprio nel rivendicare l’assenza di colpa, il sentirsi estranea all’obbligo di un’identità, il coraggio di vagare tra la follia, lucida come un coltello, e la certezza che nessuno può fermare il divenire della vita, che sta il filo segreto di una ricerca fatta di parole, di versi, di significati e di significanti. La traiettoria sghemba, libera, complessa eppure limpida, che porta l’autrice a fare della sua poesia un rito di iniziazione continuo. Lontano dalle certezze, cullato dal dubbio e dalla voglia di capire. Per niente arreso alle formule magiche, alle facili spiegazioni, alle transitorie illusioni.

Sono molti anni, ormai, che Mary B. Tolusso attraversa la poesia italiana contemporanea con una voce nitida, originale, strutturata, eppure capace di lasciarsi sballottare dalle raffiche della curiosità, dell’inquietudine, dell’assenza assoluta di ogni richiamo dogmatico. Nel tempo, sotto gli occhi di chi ama la lirica, sono transitati “Cattive maniere” (2000), “L’inverso ritrovato” (2003), “Il freddo e il crudele” (2012). Ad arricchire il percorso fatto di versi si sono aggiunti, poi, due romanzi: “L’imbalsamatrice” (20’09) e “L’esercizio del distacco” (2018). Approcci alla scrittura differenti soltanto in parte, che invece vanno a comporre un mosaico di vie espressive dell’autrice nata a Pordenone, che vive tra Trieste e Milano, di cui fa parte anche una corposa attività giornalistica e saggistica.

“Apolide”, che esce nella collana dello Specchio di Mondadori (pagg. 107, euro 16), è una sorta di nuovissima summa del percorso poetico di Mary B. Tolusso. Sì, perché nelle sei sezioni in cui è diviso il libro, i lettori che hanno seguito attentamente il divenire letterario dell’autrice troveranno tracce liriche già seminate nel passato: alcune poesie de “L’inverso ritrovato”, altre di “Piano regolatore” che stavano ne “Il freddo e il crudele”. La maggior parte, invece, sono del tutto inedite: da “Come un corpo” a “Apolide”, da “Edipo Re” a “Terapie croniche”.

In un tempo che sembra nutrirsi di luoghi comuni, di slogan ripetuti fino alla nausea, la poesia è stata imbalsamata nel suo sarcofago di bellezza. Nessuno si azzarda più a dire che, quasi sempre, chi scrive versi vuole affidare a essi il proprio disagio di vivere, la beffarda stranezza del trovarsi in un corpo governato dalla ragione e dal desiderio, dal pensiero e dalle emozioni, la certezza che le parole hanno una forza dirompente, transitoria, ma spesso contraddittoria. A questo proposito, il poeta e saggista Maurizio Cucchi scriveva, alcuni anni fa, che nel lavoro poetico di Mary B. Tolusso il dato che emerge con più forza è “il rigore intellettuale acuto, a volte persino capace di passare dall’ironico al beffardo, con il quale l’autrice ci consegna una sua particolare analisi e testimonianza del senso dell’esistere. Un senso che sembra dominato, peraltro, dalla presenza del corpo, reiterata e a volte quasi oscena nella sua ineluttabilità”.

Il corpo, potremmo dire, è il metronomo che scandisce il ritmo dell’ universo “Apolide” di Mary B. Tolusso. C’è qualcosa di epicureo nel suo guardare e descrivere la realtà dell’essere con passione e disincanto. Senza mai lasciarsi cullare da facili illusioni, perché è “meglio liberarsi con grazia, credimi / nella felicità casuale degli atomi”. Visto che, in fondo, l’essere qui e ora è un rincorrersi di prosaiche certezze e volatili speranze, dove nella “tasca destra del soprabito nero”, quello indossato da “un corpo in cornice con la tua faccia austera”, non si troveranno mai pensieri, sogni, astruse farneticazioni. Ma “gli scontrini del negozio /, quello dei gatti e due vecchie sigarette / rubate alla tua bocca”. Nel momento esatto in cui è arrivato il tempo di capire che “la cosa oscena /, è la parola che manca”.

Solo guardando negli occhi la realtà, chi scrive poesie può trovare una dimensione accettabile in cui abitare. Dopo aver ammesso che non esistono dogmi, certezze, teoremi a cui aggrapparsi, perché “la verità è una cosa indecente”. E qualunque idea si finisca per affermare, anche dopo arzigogolati viaggi mentali, assomiglierà sempre “a un copione che non conosco”. Dal momento che, in questo terzo millennio liquido e frammentato, riecheggiano nella memoria con sempre più forza i versi di Eugenio Montale dagli “Ossi di seppia”: “Non chiedere la parola che squadri da ogni lato / l’animo nostro informe e a lettere di fuoco / lo dichiari e risplenda come un croco”. Perché “codesto solo oggi possiamo dirti /, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.

I versi di Mary B. Tolusso non possono non riverberare il ricordo di tante amate pagine letterarie. a partire da quelle della “Recherche” di Marcel Proust, a cui sono dedicate le poesie della sezione “Inverso ritrovato”. Per continuare con le citazioni di Giovanni Raboni, degli autori della tragedia greca, dello stesso Maurizio Cucchi, di uno dei gruppi musicali contemporanei più vicini alla voce della lirica: i Baustelle. Autori, tra l’altro di una strepitosa canzone omaggio a Charles Baudelaire nell’album “Amen” del 2008.

“La vita mica è una questione di cuore”, scrive Mary B. Tolusso. Che, nel suo “Apolide” tratta l’amore, il desiderio, lo scambio di dare e avere all’interno di un rapporto seduttivo, con la stessa libertà di chi non si aggrappa mai a un luogo fisso, a una casa, a una certezza. Dello spirito curioso e vagabondo che canta la sua visione del mondo in queste pagine. Dove ci si può concedere anche il sorriso, il riso, una non ruffiana ammirazione quando l’autrice gioca con le proprie origini familiari (“La mia è un’antica schiatta… È un vero peccato non avere / a disposizione un XII secolo”), con la cultura classica (“Alla fine l’ho visto, Pompeo è fuggito, ma Enobarbo è morto / in battaglia mio caro Sallustio /. Oltre ogni ragione, e / nonostante i pochi / uomini dalla mia ho l’acume e l’inganno, tu questo lo puoi / cantare oh Catullo”).

E se ancora, nel 2022, qualcuno pensa che scrivere versi serva solo a celebrare luminosi tramonti, stati d’animo estatici, amori zuccherosi e felici. Mary B. Tolusso propone di spingere lo sguardo un po’ più in là. Dove brulicano le storie della vita. Quello che non accettano di “ridursi all’essenziale”, perché sono pronte a valicare i confini della normalità: “Che vuoi che ti dica sotto / la coperta ruvida di un albergo a ore?”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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