Il suo vero nome era Chaya, ma tutti la conoscono come Clarice. Diceva, con forza e orgoglio, “sono brasiliana”, perché era cresciuta prima a Maceió, nello stato nordestino di Alagoas, poi a Recife, nel Pernambuco, In realtà arrivava da un piccolo villaggio dal nome impronunciabile: Tchetchelnyk, nell’Ucraina orientale. Uno shtetl, come venivano chiamate prima della Seconda guerra mondiale, le località di dimensioni ridotte abitate dalla popolazione ebraica. Il fatto è che Clarice Lispector, sul suolo natale, non aveva mai messo piede. Perché i suoi genitori erano dovuti fuggire dopo l’ennesimo pogrom, una violenta azione antisemita che sembra costrinse la madre di Clarice Lispector a subire anche abusi sessuali. Non è chiaro se da parte dei russi bolscevichi o dei bianchi, che allora si contendevano ancora il predominio nel vastissimo territorio della futura Unione Sovietica.
In realtà, ha sempre detto Clarice Lispector, lei non poteva considerare quella la sua terra, “essendo stata portata via in braccio”. Non aveva ancora mai posato un piedino a terra, nel momento in cui mamma e papà, trascinandosi dietro anche le altre due figlie Elisa e Tania, si erano imbarcati alla volta dell’America Latina. Per non fare mai più ritorno in Ucraina. Ed è proprio lì, in quel senso di sradicamento che diventa amore viscerale per il Brasile, per la nuova nazione che accoglie la famiglia Lispector, che sta forse il segreto di una delle scrittrici più originali, inimitabili e misteriose. Capace di inventare una lingua letteraria preziosa e unica. Perché solo scrivendo, sentiva di appartenere “almeno un po’ a me stessa”. Senza radici, senza confini, senza legami. Figlia, sorella, sposa, amante, amica soltanto della letteratura.
La vita creativa, il trovare una voce letteraria che appartenesse soltanto a se stessa, diventerà il centro di gravità permanente di Clarice Lispector. La scrittrice che si può imparare a conoscere ascoltando le parole scelte per il titolo del bellissimo libro dedicato alla sua vita da Lisa Ginzburg: “Cercavo un’immensità”. Un breve viaggio tra dati biografici e libri, tra amori e disavventure, che la casa editrice rueBallu (pagg. 95, euro 22) ha pubblicato. Abbinando al testo, nella raffinata edizione, gli splendidi disegni di Pia Valentinis, l’illustratrice nata a Udine, ma cagliaritana d’adozione, che ha vinto il Premio Andersen come Miglior illustratore e il Super Andersen 2012 con il libro “Raccontare gli alberi”.
Lisa Ginzburg, scrittrice lei stessa, entrata nella dozzina del Premio Strega 2021 con il suo romanzo più recente “Cara pace”, ha saputo entrare nel mondo di Clarice Lispector in punta di piedi. Con amore e grande precisione biografica. Raccontando la sua vita e il divenire del percorso letterario. Accompagnandola negli anni della grande felicità personale e professionale, senza tacere le inquietudini, il vagabondare al seguito del marito ambasciatore che ampliarono ancor di più quel suo senso di non essere a casa da nessuna parte. E poi la nascita dei figli, la separazione legale dal pur amato Maury Gurgel Valente, troppo preso dalle sue missioni diplomatiche, l’amore impossibile per il grande amico omosessuale Lùcio Cardoso, l’incidente con il fuoco che rischierà di deturparle il bel viso.
Ma è soprattutto il percorso letterario di questa straordinaria voce letteraria a monopolizzare gran parte del libro. Perché soltanto scrivendo, a lungo, senza mai fermarsi a godere delle recensioni entusiastiche, che Clarice Lispector riusciva a rendere un po’ meno invadente quel senso profondo di spaesamento e sradicamento provato fin dall’adolescenza.
Clarice Lispector ha saputo stupire la critica, i lettori, fin dal romanzo di debutto. Un libro straordinario, “Vicino al cuore selvaggio”, scritto quasi in stato di transe a 19 anni. In cui prendeva forma, come scrive Lisa Ginzburg, una lingua “dalla forma, in. modo assoluto, brasiliana, ma nella cui sonorità di forma riecheggia l’eco di un’ampiezza plurilinguistica che è stata dell’infanzia (la lingua ucraina e lo yiddish ascoltati e imparati da bambina)”. Un’impasto di parole e riverberi sonori, liberissimo canto a mezza voce ed esplosioni di sensazioni che si fanno frase, discorso, viaggio nello spazio e nel tempo, che le permetterà di distillare dalla sua fantasia fiammeggiante romanzi inimitabili come “La passione secondo G.H.”, “Un soffio di vita”, “Acqua viva”, “Il lampadario” e molti altri. Oltre a tantissimi racconti, in cui si divertirà a sperimentare diffoirmi traiettorie di narrazione.
Dotata di un fascino slavo che si concentrava soprattutto in quel suo viso dagli zigomi alti, dagli occhi allungati all’orientale, immortalata da Giorgio De Chirico in un ritratto che contiene la sua enigmatica e perturbante bellezza, capace di rievocare la dirompente forza della letteratura votata allo “stream of consciousness”, che rievocava la lezione dei grandi del ‘900, da Marcel Proust a James Joyce, passando per Virginia Woolf, Clarice Lispector è riuscita a creare una propria via al romanzo del tutto originale. Nutrita da una lingua portoghese ricchissima, bella, fiammeggiante di una passione implacabile per la vita e per il raccontare le emozioni segrete e le sensazioni più esposte alla luce dell’essere. Perché, annotava in “Un soffio di vita”, dentro “ogni parola batte un cuore”.
“La letteratura è vita, è vivere” diceva Clarice Lispector. Che ha abitato il mondo, dalla natia Ucraina al Brasile, dall’Italia visitata insieme al marito all’America. In un continuo cercare se stessa, il proprio io più arcano, rifuggendo da quei continui cambi di orizzonte, e al tempo stesso nutrendosene. Così come è riuscita a far convivere nella propria vita, nei libri che avrebbero meritato un riconoscimento importante come il Premio Nobel, uno slancio spirituale fortissimo e un’innegabole matericità: “In qualche modo tutto è fatto di terra. Un materiale prezioso. La sua abbondanza non lo rende meno raro da sentire – la cosa veramente difficile è sentire che tutto è fatto di terra. Che unità. E perché non anche lo spirito? Il mio spirito è tessuto della terra più fine”, scriverà nel 1969 in uno dei suoi articoli per il “Jornal do Brasil”.
Otto anni ancora le restavano da vivere. Ma prima di spegnersi, il 9 dicembre del 1977, Clarice Lispector avrebbe fatto in tempo a scrivere altri libro Tra loro, soprattutto “Acqua viva”, che molti considerano il suo capolavoro assoluto. Un monologo interiore di un anonimo narratore che si rivolge a un altrettanto anonimo “tu” per attraversare la propria vita. Un viaggio perturbante e luminoso tra le parole, che arde di un fuoco inestinguibile. Che brucia come il tocco delle águas-vivas, le meduse, ma al tempo stesso regala visioni epifaniche al cuore, al corpo e alla sensibilità dei lettori.
<Alessandro Mezzena Lona