Nell’inventare storie, Edgar Allan Poe cercava sempre un altrove. Il suo era un desiderio di andare oltre l’orizzonte della realtà. Lo animava un’ansia di strappare il velo che divide il nostro mondo da altri, possibili territori. Amava immaginare luoghi ameni e terribili, angoli di paradiso e gironi dell’inferno. Sempre, e comunque, viaggi di carta che facessero posto all’irruzione dell’inatteso. Che riuscissero a creare un effetto perturbante derivato dall’introduzione di elementi del tutto estranei in un contesto apparentemente familiare.
Tra i tanti racconti che hanno consacrato il nome di Edgar Allan Poe (“La caduta della casa Usher” e “Ligeia”, “Il cuore rivelatore” e “Il barile di Amontillado”, “La maschera della Morte Rossa” e “I delitti della Rue Morgue”) alcuni testi avevano attirato, in modo particolare, l’attenzione del poeta francese Charles Baudelaire. Non solo perché li sentiva vicinissimi, quasi dei precursori dei suoi “Fleurs du mal”. Ma perché, a un prima lettura, dimostravano che lo scrittore americano era tutto meno che un autore di racconti prevedibili, banalmente decadenti, votati a raccontare soltanto il lato oscuro dell’esistenza.
“Le terre di Arnheim”, ad esempio, era uscito sul periodico “Columbian Lady’s and Gentleman’s Magazine” nel marzo del 1847. Varie redazioni lo avevano accompagnato fino alla versione definitiva, nel 1850, mutando anche il titolo originale “The Landscape-Garden”. Sarebbero seguiti, poi, “Il villino di Landor”, una sorta di appendice di Arnheim, e “Filosofia dell’arredamento”, che lo stesso Baudelaire propose di pubblicare, nella sua traduzione francese, sotto il titolo “Abitazioni immaginarie di Edgar Allan Poe”. E subito, Baudelaire aveva intuito che in quelle pagine si nascondeva il tentativo affascinantissimo di disegnare, con precisione architettonica, luoghi dove l’altrove ospitasse bellezza e inquietudine in equilibrio perfetto.
“Le terre” raccontava la storia di un uomo di nome Ellison, che per raggiungere la felicità crede sia necessario vivere all’aria aperta, amando le donne, disprezzando l’ambizione, cercando di realizzare un sogno inesaudibile. Una stora forte, visionaria, eretica, che non deve avere stregato soltanto Baudelaire. Perché questo racconto di Poe, che porta il suo protagonista a ereditare una colossale fortuna e spendere tutto il denaro per creare un immenso Giardino-Paesaggio che tenga fede ai suoi principi di bellezza e felicità, è arrivato a seminare fantastiche suggestioni anche in Giappone. Spingendo prima lo scrittore Edogawa Ranpo a scrivere un romanzo visionario e crudele perfettamente in sintonia con il mondo fantastico dell’autore americano nato a Boston nel 1809, e morto a Baltimora nel 1849. E poi l’autore di manga Maruo Suehiro a rendere omaggio a entrambi con un’opera disegnata di straordinario fascino.
“La strana storia dell’isola Panorama” è un libro a fumetti che disintegra i confini tra romanzo e graphic novel. Che sbeffeggia i pregiudizi chi ancora rifiuta di accettare l’idea che esistano grandi scrittori capaci di creare una miscela perfetta tra parole e disegni. Tradotto da Dario Sevieri per Coconino Press (pagg.283, euro 22) racconta la storia di uno scrittore fallito disposto a tutto pur di realizzare il suo sogno: guadagnare tanti soldi per costruire una sorta di eden, l’isola Panorama.
Quando Hirosuke Hitomi, reduce dall’ennesimo fallimento letterario, viene a sapere che è morto da poco il suo amico d’infanzia Genzaburo Komoda, decide di attuare il suo folle piano. Visto che da ragazzi tutti li consideravano tanto simili da scambiarli per gemelli, decide di sostituirsi a lui. Ereditando tutte le sue fortune.
Inscenata una folle resurrezione, e impadronitosi della nuova identità, lo scrittore mette mano all’immensa fortuna economica del suo vecchio amico morto, accumulata producendo mattoni. E inizia la faraonica avventura di trasformare un’isola in mare aperto in un parco di divertinenti. In un mondo straniante, dove ogni illusione può prendere forma. Dove le leggi della fisica devono cedere il passo all’immaginazione. Dove il piacere dei sensi ha campo assolutamente libero, perché le leggi morali sono state accantonate. Dove la vita non deve più temere la Morte, perché tutto si trasforma. E anche l’ombra oscura della fine può tramutarsi in un luminoso, nuovo inizio.
In quest’opera dove la linea chiara si trasforma in un viaggio onirico dal fascino indescrivibile, dove ogni tavola viaggia attraverso i capolavori dell’arte riproducendo in quel mondo immaginario la quintessenza della bellezza, Maruo Suehiro, il maestro di Nagasaki che ha incantato i lettori di tutto il mondo, costruisce un capolavoro che getta un ponte tra la cultura americana di Edgar Allan Poe e quella nipponica di Edogawa Ranpo. Le sue tavole, la storia, la precisione con cui tratteggia i personaggi, gli innumerevoli dettagli che costruiscono la fantasmagorica “Isola Panorma”, sanno ipnotizzare gli occhi dei lettori. Facendoli viaggiare in un mondo onirico, dove bellezza e incubo sanno coesistere in perfette armonia. Dove quello che raccontano gli occhi è pura illusione.
Leggendo “La strana storia dell’isola Panorama” non si può non pensare ad altri gioielli della letteratura disegnata. Basterebbe citare il “Ciclo dell’Incal”, uscito dalla fantasia di Alejandro Jodorowski e Moebius, o a “Icaro” dove ancora l’immenso Moebius si confrontava con uno dei maestri giapponesi: Jiro Taniguchi. Opere che creano una via d’accesso ai luoghi dove abita l’immaginazione.
<Alessandro Mezzena Lona