• 31/05/2019

Premio Campiello, una cinquina usato sicuro (con sorprese)

Premio Campiello, una cinquina usato sicuro (con sorprese)

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Il Campiello sogna libri più coraggiosi. Boccia il dilagare di una lingua “normalizzata” dalle scuole di scrittura. Critica i troppi romanzi tutti carini, perfettini, eppure assai vuotini di idee narrative. Però, poi, alla resa dei conti punta sull’usato sicuro. Così, nella cinquina del Premio 2019, scelta dalla Giuria dei letterari al Palazzo del Bo di Padova, chi incassa più voti di tutti, tanto da conquistarsi un posto in prima fila, è Laura Pariani con “Il gioco di Santa Oca”, pubblicato da La nave di Teseo. Una scrittrice brava che è già stata finalista per tre volte nel 1997, 2003 e 2010, senza mai vincere il riconoscimento inventato dagli industriali del Veneto.>h5>

Paolo Colagrande, entrato nella cinquina alla seconda tornata di voti, può dire di essere nato letterariamente con il Campiello. Visto che il suo romanzo d’esordio “Fideg” ha vinto il Premio Opera Prima a Venezia nel 2007. Poi, dopo una piccola pausa, è andato in finale con “Senti le rane” nel 2015. Adesso proverà portarsi a casa la vittoria con “La vita dispari”, pubblicato da Einaudi. Ma ritroverà, sulla sua strada, uno degli scrittori quarantenni più bravi del panorama italiano. Quell’Andrea Tarabbia che, sempre quattro anni fa, era stato sceltto dalla Giuria dei letterati per il suo “Giatdino delle mosche”. Questa volta è entrato a fatica, dopo un serrato ballottaggio, tra i prescelti dell’edizione 2019 con “Madrigale senza suono”, edito daBollati Boringhieri.

Per fortuna, a bilanciare la presenza dei tre scrittori che con il Campiello hanno preso ormai confidenza ce ne sono altri due che, invece, si presentano come autentici novizi. Giulio Cavalli trascina, con il suo romanzo “Carnaio”, per la prima volta sul palcoscenico del Campiello la casa editrice Fandango. Francesco Pecoraro, con “Lo stradone”, apre la via del Teatro La Fenice di Venezia, dove si svolgerà la serata finale sabato 14 settembre, al suo editiore Ponte alle Grazie.

Il Premio Opera Prima, oltre a puntare i riflettori su un autore esordiente come Marco Lupo, nato a Heidelberg ma che vive a Torino e fa parte del collettivo di scrittori TerraNullius, riconosce anche l’ottimo lavoro di una casa editrice come il Saggiatore, che ha pubblicato il suo romanzo “Hamburg”. E che sta dedicando grande attenzione alla narrativa, ma non solo, affiancando ad autori ormai affermati nomi tutti da scoprire.

Romanzi diversissimi tra loro questi cinque scelti dalla Giuria dei Letterati. Libri che, in un certo senso, ben rappresentano le tendenze attuali della narrativa italiana, sospesa tra un fascino irresistibile per il passato e un dialogo, spesso faticoso, con il presente. Laura Pariani ha voluto ambientare il suo “Gioco di Santa Oca” nell’autunno del 1652 Raccontando le vicende di un gruppo di uomini della brughiera lombarda che, stanchi di subire le angherie dei nobili e dei soldati, si raccolgono attorno a Bonaventura Mangiaterra, un capopopolo. Uno che ottiene credibilità e seguito attorno a sé rileggendo, in maniera ribelle e del tutto personale, la Bibbia. Testo sacro diventa nella sua versione, personale eresia della Bella Parola. E che finirà per attirare gli occhi sospettosi dell’Inquisizione. Anche Andrea Tarabbia volge lo sguardo a un tempo lontano e va a recuperare, nel suo “Madrigale senza suono”, un compositore dio fine 500: Carlo Gesualdo da Venosa. Un uomo che si macchierà di un delitto orrendo, uccidendo la moglie, colpevole di averlo tradito con un nobile.

Al contrario, Paolo Colagrande inventa attorno al personaggio di Buttarelli una “Vita dispari”. Perché lui, il protagonista, legge il mondo come se fosse un libro a cui mancano le pagine pari. E se anche ci sono, rimangono per lui del tutto indecifrabili. Facile immaginare che il suo percorso sarà pieno di inciampi, vessazioni e avvenimenti del tutto casuali. Arrivato alla scrittura dopo esperienze da attore, drammaturgo e regista teatrale, oltre che dopo alcune incursioni in campo politico con l’Italia dei valori e Sinistra Ecologia e Libertà, Giulio Cavalli racconta in “Carnaio” la vita di Giovanni Ventimiglia, un pescatore che da tutta una vita raccoglie nelle sue reti acciughe e granchi. Ma che, all’improvviso, vede popolarsi il mare da altre creature fatte di carne scura. Uomini e donne, scappati dalla violenza, dalla guerra, che nessuno sembra voler aiutare. Infine, lo sguardo narrativo di Francesco Pecoraro abbraccia il divenire del ‘900. Perché questo architetto urbanista di Roma, che ha iniziato a pubblicare da una dozzina d’anni, racconta il divenire di uno “Stradone” e il destino di un uomo.

Inutile nascondere il magone per l’esclusione di due tra i libri più belli di quest’annata letteraria. Tommaso Pincio, un autore che possiamo definire ormai di lungo corso, è rimasto in ballottaggio fino all’ultimo voto con Andrea Tarabbia, visto che una buona parte della Giuria dei letterati sembrava puntare molto sul suo “Il dono di saper vivere” (Einaudi). Meno convinto è stato l’appoggio a Claudia Durastanti, che ha raggiunto con “La straniera” (La nave di Teseo) un livello di scrittura e di racconto davvero alto, convincente. Ma non sufficiente, a quanto pare, per entrare tra i finalisti del Premio veneziano. Riuscirà a consolarsi con lo Strega, visto che fa parte dei 12 selezionati per formare la cinquina? Difficile dirlo, vista quanto imperscrutabili sono i premi letterari italiani.

In ogni caso, “Il dono di saper vivere” e “La straniera” sono due romanzi da leggere. Assolutamente. Per capire come, a volte, tanti scrittori bravi non riescano a entrare nell’orizzonte dei premi letterari.

<Alessandro Mezzena Lona

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