• 09/11/2022

Gian Mario Villalta, “è tutto vivere, non distrarti”

Gian Mario Villalta, “è tutto vivere, non distrarti”

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“I giorni ritornano ma è un’altra la terra”. Sta, forse, tutto in un verso il mondo poetico di Gian Mario Villalta. La memoria, l’identità, l’essere o apparire, il significato di transitare su un pianeta che crediamo nostro, ma che nostro non è. O, forse, sta tutto nel titolo del suo nuovo libro di poesie, il senso del lavoro in versi. Perché “Dove sono gli anni” può essere interpretato come la ricerca che, da sempre accompagna l’autore nato a Visinale di Pasiano, di catalogare il tempo. Di dare alla memoria una struttura precisa, ordinata, non sfuggente. Di accarezzare il ricordo per metterlo seduto lì, di fronte ai giorni di questo tempo che stiamo vivendo. Ma quel titolo suggerisce anche l’assenza/presenza di un punto interrogativo che non c’è. E che cambierebbe di molto il significato. Dandogli il retrogusto di un riandare, un po’ nostalgico, alla visione di ciò che è stato e non ritornerà.

Ma la nostalgia non è di casa nei testi di Gian Mario Villalta. Nemmeno nei romanzi dove, con uno sguardo dettagliato e implacabile, è andato a ridare luce al tempo della sua adolescenza: basterebbe citare “Bestia da latte” e “L’olmo grande”. Nei versi, poi, risuona piuttosto quel “sostare inquieto che interroga il sentire e ridà voce al corpo, al percepire la nostra più vera collocazione sul lembo di terra che calchiamo, al pensare dentro le corrispondenze che ci legano a tutte le forme dell’esistere” di cui il direttore di Pordenonelegge parlava nel libro “La poesia, ancora?”, pubblicato dalla casa editrice Mimesis (pagg 169, euro 15) nell’ottobre del 2021.

“Dove sono gli anni”  (Garzanti, pagg. 197, euro 18) diventa, allora, un modo per interrogare (e per interrogarsi) sullo sfrenato bisogno di definire, di definirsi. Di conquistare un’identità, di essere se stessi in un tempo dove tutto si sta omogeneizzando: “Quanto vale sentirsi chiamare per nome, nel sorriso che fa la sera / dove stare vicini voleva dire che esiste un posto / che non è un prato, né una stanza, dove essere è insieme”. Ma è anche un luogo per dare forma al dubbio, alla difficoltà di riconoscersi, in quel reiterato interrogarsi sul “Situ chi?, “Situ ti?”, accompagnato dallo spazio bianco abitato soltanto da una chiocciola. Nel dialetto di Visinale l’affannato chiedersi e affermare più volte “te sé ti” assume il senso profondo del guardarsi allo specchio cercando certezze che sfuggono di continuo.

Questa raccolta di versi muove i suoi passi seguendo due traiettorie: La prima porta con sé il titolo che battezza il libro “Dove sono gli anni”, la seconda punta lo sguardo sulla “Solitudine della specie dominante”. Dove la crisi dell’essere, la frattura nel ciclo naturale dell’esistere, non si riflette soltanto nella possibilità che tocchi all’umanità essere travolta e cancellata dalla prossima estinzione. Perché ripensa e mette in dubbio l’intero progetto.

E non bastano i desideri a colmare il vuoto del nascere, dice Gian Mario Villalta. Che porta gli occhi del suo lontano io, “il bambino con la maglia a righe”, a ritrovare il proprio essere in quello degli altri, che gli rimanda poi una più nitida percezione di se stesso: “Se penso al tempo mio diventa ora di tutti / – il tempo – se mi perdo nel tempo, ridivento io”. Così, il poeta ripropone la domanda che mai non tace, anche dopo tanti anni di versi, di storie, di pubblicazioni: “Perché continuo a scrivere?”. Forse perché è un atto insito nel proprio stesso stare al mondo: “Come uno cammina di sera / prima di cena, o un altro vanga l’aiuola / o mette a posto il garage”. Desiderio, necessità, cordone ombelicale che permette al poeta di sentirsi ancorato al qui e ora. Di “Parlare al buio”, come diceva il titolo di un altra opera dell’autore, ma senza allineare parole incerte e vuote. Perché spesso “l’ombra della voce si assottiglia / giorno dopo giorno l’incertezza / raschia i margini a ogni parola”.

Mille sono le direzioni che si può seguire leggendo i versi di “Dove sono gli anni”. C’è il richiamo dell’amore carnale: “L’odore della saliva / l’animale che ancora sei, la morte che porti, la vita / che lascia il tempo ancora viva”. E c’è il ricordo di un grande maestro, il poeta Mario Benedetti morto di Covid-19 il 27 marzo del 2020: “Parole che tremano di gioia /e sanguinano / di un uomo, irraggiungibile / nel suo altrove di anni ultimi”. Non mancano squarci di inquietudine accompagnati dal ricordo “dei bombardieri che decollano sopra la tavola apparecchiata verso i Balcani”, quando la Nato decise di far partire dalla base di Aviano gli aerei da guerra che avrebbero colpito Belgrado con i loro ordigni esplosivi. Nell’illusione che fosse quello il sistema migliore per mettere fine alla sanguinosa guerra tra i Paesi dell’ex Jugoslavia. Rispondere alla violenza, la brutalità, la prevaricazione con altre azioni di guerra.

E spesso, nei versi di Gian Mario Villalta, il sovrapporsi dei momenti si frange. Sfilaccia la struttura stessa delle poesie, quando il “dopo giorno sfasa il sincrono”: “Tu sai quanto distante è sempre stato / per me il presente, per desiderio matto / dell’adesso, per timore che il prendere / tutto, tutto in una volta, mi perdesse”.

“La poesia non sbaglia un colpo”, scrive Gian Mario Vilalta. E fa ritornare alla memoria la sua definizione affidata alla parte finale di “La poesia, ancora?”: “La poesia non è comunicazione, ma una forma che mira all’eccellenza della lingua, ovvero a realizzare con le parole il luogo dove permane l’evidenza della sua tensione all’esistenza nella sua più alta possibilità”. Spesso, allora, per trovare il percorso segreto che tiene assieme i versi di “Dove sono gli anni” bisogna assecondare il piacere di ascoltare le parole. Per trovare nel loro più intimo essere la traiettoria giusta da seguire. “Dove sto non sono, quando guardo fuori ripeto / prove di altrove a vuoto, e qui mi divido / in istanti e anni, ci sono i vivi e i morti non solo nei sogni, / e adesso mi faccio un giro verso Cergneu / i finestrini aperti, tu che ripeti non si può / fare finta, cosa vuol dire, è tutto vivere, non distrarti”.

<Alessandro Mezzena Lona

 

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